Milano. Alan Dershowitz è una specie di star del diritto in America. Professore di legge ad Harvard, opinionista, saggista, ospite televisivo di successo e avvocato così efficace e oneroso che fa sempre tremare i polsi sia alle controparti processuali sia ai suoi assistiti (tra i quali Claus von Bulow, O.J. Simpson e Mike Tyson). E poi è anche un liberal, un uomo della sinistra illuminata, oltre che un difensore feroce delle garanzie giuridiche e dello Stato di diritto. Le libertà civili sono da sempre il suo chiodo fisso, e anche contro i tribunali militari istituiti da George Bush per giudicare i terroristi di Al Qaida si è schierato senza indugi.
Eppure da qualche tempo, sui giornali, in televisione, e ora anche nel suo nuovo libro "Shouting Fire: Civil Liberties in a Turbulent Age", sostiene una tesi bizzarra. La tesi è quella di legalizzare la tortura nei confronti dei sospettati di terrorismo. E lo ha sostenuto ancora l’altro ieri, su un giornale liberal come il San Francisco Chronicle e nel fuoco del dibattito internazionale sul trattamento dei prigionieri talebani nella base di Guantanamo.
Il suo ragionamento non è così brutale, ovviamente. E infatti quando qualcuno riassume la sua tesi in questo modo semplicistico, lui prende carta e penna e scrive articolesse colte e argomentate a sostegno della proposta. Lo ha fatto sul Los Angeles Times, sul Guardian e in varie trasmissioni tv, compresa la celeberrima 60 minutes della Cbs. La sua proposta è questa: sappiamo per esperienza che le forze dell’ordine, specie in momenti di tensione come questi, a poco a poco tendono ad abusare della propria autorità sui detenuti, fino a torturarli senza peraltro nessuna certezza che i sospetti siano a conoscenza di ulteriori obiettivi terroristici. Ma se prendiamo il caso di un terrorista che sa di un imminente attentato e si rifiuta di dare le informazioni necessarie per prevenirlo, state certi che chi lo interroga cercherà di torturarlo per ottenere l’informazione. Lo abbiamo visto mille volte nei film, e succede in tutti gli scantinati di ogni singola stazione di polizia: lo chiamano "terzo grado" ma si tratta di tortura bella e buona. La questione, dunque, non è se la tortura va usata o meno – perché sappiamo che viene usata – ma se debba essere usata dentro o fuori la legge, senza o con le garanzie di un sistema legale.
Dershowitz crede le democrazie richiedano responsabilità e trasparenza e finanche un "mandato di tortura" emanato da un giudice in grado di stabilirne caso per caso l’uso e quindi controllarne l’abuso. Nel suo schema, il mandato affiderebbe il peso morale e legale della decisione di torturare un terrorista a un giudice piuttosto che a un funzionario di polizia. Ovviamente, sostiene l’avvocato, ogni informazione estorta in questo modo non potrà essere usata in processo contro il sospetto, ma dovrà servire soltanto a prevenire un attentato o fermare il countdown di una bomba già innescata. Insomma, Dershowitz vorrebbe far emergere la tortura dall’ombra nella quale è praticata, per portarla alla luce dell’opinione pubblica. Così come si è fatto per l’aborto o come taluni propongono per le droghe.
Nessuna democrazia, con l’eccezione di Israele, ha mai praticato la tortura legalmente, lo si fa sottobanco. E dopo una sentenza della Suprema Corte scritta nel 1999, anche Israele ne proibisce l’uso ma con un’eccezione che si fonda sul diritto dello Stato alla propria difesa. L’eccezione è una forma più rozza della regola che vorrebbe introdurre Dershowitz nell’ordinamento americano: se i servizi segreti credono che da un sospetto si possa ottenere un’informazione per disinnescare una bomba, il torturatore sarà processato ma la corte potrà valutare lo stato di necessità.
L’avvocato Alessandro Gamberini commenta: "A pelle provo orrore per una proposta di questo tipo, ma sono abituato a ragionare. E per quanto ne so, pensare di trovare limiti giuridici alla tortura è ingenuo, ed è il vizio dei vecchi liberali che credono nella purezza del sistema giuridico. Ma se viene meno un tabù, la discesa diventa inevitabile".
24 Gennaio 2002