Dovrei parlarvi di Ron, Pino, Fra’ & Fiorella, i nostri Crosby, Still, Nash & Young (scherzo) ma, qui, seduto davanti alla tastiera, con il loro doppio cd sparato a tutto volume, mi viene di parlare d’altro. In realtà non potrei. Mi sono impegnato con Capital a scrivere di R, P, F & F. Il "quartetto", così lo chiamano in privato gli addetti ai lavori. In pubblico, meno sobriamente, preferiscono dire <l’evento musicale del 2002>. Forse hanno ragione. Boh. Io so che è stato un concerto, un tour, poi un disco, poi un dvd, poi chissà che altro. So anche che dovrei iniziare a scriverne ma, porcamiseria, continuo a distrarmi. Facciamo così. Vi dico subito che cosa penso, e poi parliamo del disco (se rimane spazio).
Dunque. Ce l’ho con i critici musicali, quelli che scrivono di musica sui giornali. Ok, è vero, anch’io scrivo di musica, ma non sono un critico. Non vi permettete. Ascolto molti dischi, mi piace la musica e stop. Come voi. (Populismo da quattro soldi, lo so).
Vengo al dunque. Non sopporto i critici musicali. Segue loro ritratto.
Il Critico Musicale col Ditino Alzato è un bel tipo. Se esce un disco di un pezzo grosso, di un cantante o di un gruppo sul quale l’etichetta discografica decide di puntare molto, investire in marketing, promozioni eccetera, il Critico Musicale col Ditino Alzato grida sempre al capolavoro e non risparmia sugli aggettivi. L’iperbole gli viene facile. Li avete mai sentiti parlare male di un disco di Mina o di Celentano o di Elton John? Io mai. Non fraintendetemi, non nego che talvolta abbiano ragione. Ma qualche volta, almeno una volta, una, una sola in trenta o quarant’anni di mirabilie, questi mostri sacri avranno pur fatto una fesseria, un erroruccio veniale, una canzoncina così così? Pare di no. Sempre pietre miliari, perle, gioielli, gemme, delizie, ricchi premi e cotillons. I dischi degli U2 sono sempre strepitosi, il che poi è quasi sempre vero ma, come diceva Totò, sembra che lo siano <a prescindere>. I nuovi cd di Bob Dylan sono ogni volta, tutte le volte, l’ultima artistica reincarnazione del menestrello rock; il che non è più vero da circa 25 anni, infatti basta ascoltare il <Live 1975> che è stato appena tolto dalla naftalina per cestinare decine di sue ciofeche successive. Se il Critico Musicale col Ditino Alzato ascolta una nuova canzone di Bruce Springsteen ci rifila sempre la solita pappardella retorica sul working class hero, sull’Altra America e bla bla bla, salvo poi non aver capito che cosa intendesse dire il Boss. E così anche con i Rolling Stones, con Sting o, si parva licet, con Lucio Dalla, Franco Battiato e Mogol. Bravi bravissimi ma alla fine si fa fatica a distinguerli da Robbie Williams e da Britney Spears. Musica doc di trenta anni fa e robetta d’oggi, tutto insieme nel medesimo bancomat dei capolavori.
Non vale solo per il rock o per il pop, anzi. Se vi capita di leggere le cronache dei concerti di musica classica o delle opere liriche, e dio non ve ne voglia per questo, sappiate che il modello giornalistico è La Pravda sovietica. Avete mai letto di un direttore d’orchestra, anzi di un Maestro con la M maiuscola please, che non abbia guidato i musicisti in modo impeccabile o sontuoso o geniale e al quale il pubblico, competentissimo ça va sans dire, non abbia tributato centoventiquattro minuti consecutivi di scroscianti applausi? Criticare i mostri sacri non si può, non è nelle corde del Critico.
C’è di strano che chiunque può scrivere qualsiasi abominio contro Berlusconi o Bush, e meno male, ma guai a lui se bacchetta un canzonettaro. La sanzione è orribile: non gli mandano più i dischi, non lo fanno entrare ai concerti. Meglio una parolina dolce in più, che un posto in platea in meno. L’unica critica ammessa è questa: di un disco è lecito dire che è una "operazione commerciale". Diffidate di quelli che lo fanno. Sono i peggiori, si lavano la coscienza senza rischiare nulla. La casa discografica infatti non si lamenta. Ed è ovvio perché: tutti i dischi sono operazioni commerciali. Cos’altro dovrebbero essere, <Operazioni buco finanziario>?
Bene. Eccoci a questo disco, finalmente. Non è così bello. Non è neanche un’operazione commerciale, come direbbero i Critici Musicali col Ditino Alzato. Ron, Pino, Fra’ & Fiorella, insieme, hanno rovinato alcune delle più belle canzoni italiane degli ultimi anni. Il sodalizio non mi pare abbia funzionato né portato nuova linfa alle canzoni, con l’eccezione di <Una città per cantare> e una bossiana (nel senso di Springsteen, non del senatur) <Niente da capire>. Sentire De Gregori biascicare <Napule è> fa venire una voglia pazzesca di devolution bossiana (nel senso di senatur, non di Springsteen). Ascoltare Ron che gorgheggia su <Viva l’Italia> fa male al cuore. Si salvano soltanto tre cose: gli assoli di chitarra di Pino Daniele, la voce di Fiorella Mannoia e le canzoni di De Gregori (specie <La Storia>, l’inno alla superiorità antropologica della sinistra). Non è poco, direte. Ma mi chiedo: per quale motivo i fan di Pino Daniele o di Ron (ammesso che esistano in natura) dovrebbero spendere 29 euro e 50 centesimi, quando con gli stessi soldi potrebbero fare un bonifico al proprio Critico Musicale di Riferimento, e garantirgli così una serena pensione?
Christian Rocca

PINO DANIELE, FRANCESCO DE GREGORI
FIORELLA MANNOIA
RON
IN TOUR (Blue drag/Sony)

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