Camillo di Christian RoccaI 20 dischi che vi siete persi nel 2001

Ci sono dischi che non entrano in classifica, ci sono canzoni che le radio non trasmettono, ci sono album che vendono niente, ci sono cd che è come se fossero usciti mai. Sono dischi di cui non si sente mai parlare. Un po’ anche per colpa loro: i nomi sono difficili, i titoli impronunciabili, il genere non comprensibile. Però quella musica è lì, e se a qualcuno capita di ascoltarla rimane incantato. E non riesce più a staccarsene. A quel punto scatta il tam tam, cioè la più redditizia strategia di marketing che c’è, e il fenomeno parte senza gli spot televisivi, con la sfiducia della casa discografica, la scarsità di mezzi e tutto quanto. Ogni anno sono almeno venti i dischi strepitosi di cui nessuno parla, e che rimangono negli scaffali dei negozi. Poi, all’improvviso, questi cd riemergono e vendono a fiotti.
Succede con certi gruppi rock, con alcune jazz band, con qualche ensemble di musica contemporanea e, se vi fidate, perfino con alcuni progetti di musica classica. Un tempo in questo limbo, e nella categoria rock, si aggiravano i Rem. Più di recente sono stati i Radiohead i più importanti sconosciuti di successo, poi con "Ok Computer" sono riusciti a spiccare il volo e se ne stupirono loro stessi, tanto che i loro due ultimi dischi (i meravigliosi "Kid A" e "Amnesiac" e "I might be wrong") sembrano suonati apposta per tornare ai fasti dell’anonimato. Non ci riusciranno, ormai. Dischi del 2001 di cui non avete mai sentito parlare, dunque. Eccone venti, divisi per genere. Ascoltateli e se non li trovate nei negozi ordinateli su Amazon.com o su Cdnow.com.

Chiamiamolo ancora rock
I Sigur Ros sono islandesi, sono giovani, sono dei piccoli Radiohead. Cantano in lingua, questo vuol dire che solo 266mila persone al mondo capiscono i loro testi. Tra l’altro anche i connazionali fanno fatica, perché pare si esprimano in dialetto. Il titolo dell’album è impronunciabile, "Agaetis byrjun" (Fatcat records), e chissà se lo trovate nei negozi. In America, all’improvviso, sono diventati noti perché il magazine del New York Times gli ha dedicato un servizio di otto pagine. I brani sono lunghi, dilatati, progressivi e lenti. Come i più lenti Radiohead o come i più lenti Pink Floyd. Il leader suona la chitarra elettrica con l’archetto. Se vi piace il rock sinfonico degli anni 70, i Sigur Ros sono il vostro gruppo del XXI secolo.
I Goldfrapp sono quelli dello spot della Bmw. Avete presente? Ve lo sarete chiesti mille volte: che musica è? di chi diavolo è quella voce di donna? I Goldfrapp sono due. Ma Goldfrapp è il cognome della cantante, che di nome fa Alison. C’è poi Will Gregor. Vengono da Bristol, Inghilterra. Da lì sono arrivate le cose migliori, in questi anni: i Portishead, Tricky e i Massive Attacks. Le atmosfere sono rarefatte, la voce di Alison Goldfrapp è lancinante, l’uso dell’elettronica misurato. E’ la perfetta colonna sonora di "Glamorama" il capolavoro di Bret Eston Ellis che racconta il luccicante mondo della moda. Il trip hop di "Felt mountain" è un ascolto imperdibile per un intellettuale modaiolo, e addirittura necessario per chi sorseggia un Cosmopolitan su una terrazza di città.
Gli Sparklehorse intanto sono uno. Cioè il nome è di un gruppo, ma il leader, Mark Linkous, è l’unico componente fisso. "It’s a wonderful life" (Capitol compact disc) è il loro ultimo disco. Un capolavoro assoluto. Lui veste un cappellone da cowboy, e la sua musica è un pop rock di misteriosa bellezza, dilatato e gotico. Gli Sparklehorse sono gli U2 nati in Virginia, le loro melodie sono quelle che avrebbero cantato i Beatles negli anni Settanta, quelle che canterebbero oggi i Cure. Ma gli Sparklehorse sono anche un po’ Neil Young e un po’ Tom Waits. Il gioco dei paragoni è quasi sempre inutile, ma con questa musica dolce eppure nera e fragile fragile stupirete gli amici.
I Dakota suite sono pressoché sconosciuti, anche agli intenditori. "Morning lake forever" (Houston party records) è un disco introspettivo, lento, da ascoltare in cuffia. Pianoforte, chitarre acustiche, qualche piccolo effetto elettronico e una vocina che sussurra parole di paura e tradimento.

Cantautori
Joe Henry è il cognato di Madonna. Ha sposato la sorella della diva. Lui è un cantautore elegante che per il suo ultimo disco, "Scar" (Edel), si è potuto permettere una band di musicisti tra i più bravi in circolazione: l’inventore del free jazz, Ornette Coleman, il pianista Brad Mehldau e il chitarrista ex Lounge Lizard, Marc Ribot. Joe Henry è un new croonies, come lo era il Frank Sinatra degli esordi, un moderno cantante di canzoni lente e sussurrate.
Anche Duncan Sheik è un new croonies. Le canzoni orecchiabili e raffinate di "Phantom Moon" (Nonesuch) sembrano scritte da Leonard Cohen e cantate da David Sylvian.
Anja Garbarek è la figlia del grande sassofonista Jan Garbarek ed è una specie di Joni Mitchell venuta dal grande freddo, una Bjork ancora più algida. La musica di "Smiling & waving" (Virgin) si può paragonare a quella di David Sylvian, ai vecchi Talk Talk, al "Bristol’s sound".
Vinicius Cantuaria è brasiliano di Bahia. Canta e suona la chitarra e ha trovato nuovi ritmi, nuovi colori, perfino sfumature d’avanguardia nella noiosetta musica tropicale di Bahia. Vinicius ha 49 anni ed è figlioccio di Caetano Veloso (che duetta con lui in un brano). In questo gioiellino di disco suonano anche Brad Mehldau, Bill Frisell, Marc Ribot, Marc Johnson e Joey Baron, cioè il meglio della scena più innovativa dell’avant jazz newyorchese. Il disco si intitola semplicemente "Vinicius" (Transparent music).
Jazz
Brad Mehldau è Brad Mehldau, cioè il più celebrato pianista jazz assieme a Keith Jarrett. I jazzofili lo conoscono bene, dunque. Ma il grande pubblico non ne ha idea, non sa quanto romanticismo esca dalla tastiera di Brad. Con lui si va sul sicuro. Il suo ultimo disco, "Progression – The art of the trio vol. 5" (Warner) è un doppio cd, registrato dal vivo al mitico Village Vanguard di New York.
Charles Lloyd è un grande vecchio del jazz. Suona il sassofono ed è un immenso talent scout (scoprì Jarrett e Michel Petrucciani). "Hyperion with Higgins" (Ecm) è un disco sofisticato, elegante, intelligente. Il miglior cd jazz dell’anno.

Profondo nord
Il jazz che si suona nel profondo nord d’Europa è qualcosa di più del jazz che conosciamo. E’ la versione moderna e aggiornata di quella che un tempo si chiamava musica afroamericana. E’ in questa parte del mondo che si suona la musica più viva. Qui nascono le idee più feconde. E’ qui che si sperimentano contaminazioni ardite. Solo qui i jazzisti hanno un pubblico da rock star. I due più bravi sono Trigve Seym, sassofonista norvegese, che nel 2001 ha pubblicato un disco che si intitola "Different rivers" (Ecm) e Esbjorn Svensson, pianista svedese, trionfatore l’estate scorsa a Umbria jazz. La sua casa discografica ha ristampato tutti i suoi dischi. Provate a sentire "Dodge the Dodo" (Act) e fatemi sapere se considerate ancora noioso il jazz.

Multikulti
Jocelyne Pook è l’autrice delle angosciose musiche di "Eyes wide shut" di Stanley Kubrick. Canti gotici, musiche tartare, ululati mediorientali, avanguardia, pop, sacro e profano: Untold things" (Real world) è un concentrato di mille tradizioni musicali. Un disco bello subito, pericoloso se ti fai coinvolgere. Proprio come "Eyes wide shut".
Bill Frisell è l’inventore di un nuovo genere che si potrebbe definire "minimal western". Lui è un chitarrista jazz eccelso, e da un po’ di anni si è appassionato ai suoni solari della prima musica interamente americana, e cioè il country, che riproduce però in modo asettico. Il suo ultimo disco, "Bill Frisell with Dave Holland and Elvin Jones" (Nonesuch), è imperdibile.
Charlie Haden è uno dei più grandi contrabbassisti jazz di sempre. "Nocturne" (Verve) è il suo tributo al bolero cubano (che ispirò il Bolero di Ravel), cioè alla ballata notturna, lenta, semplice.
Misha Alperin è un pianista ucraino, cresciuto in Bessarabia e che oggi vive sulla costa del fiordo di Oslo. "At home" (Ecm) è stato registrato in casa sua, di notte, pensando alla morte del padre. Un disco di pianoforte solo, intenso e triste, silenzioso e quieto. Da ascoltare soli come un cane.
Steve Bernstein è uno dei personaggi più eclettici di New York. Ha sempre un progetto nuovo e mille idee diverse. Guida una miriade di gruppi (tra cui lo strepitoso Sex Mob specializzato nel rifacimento delle colonne sonore di 007 e di una versione free jazz della Lambada). Ma c’è questo "Diaspora soul" (Tzadik) che non può passare inosservato: è un omaggio moderno alle tradizioni musicali ebraiche e yiddish.

Non solo Bocelli
Harmonia ensemble è un gruppo italiano che affronta con lo stesso spirito irregolare la musica classica, la contemporanea, il minimalismo e il rock. "Fellini" (Materiali sonori) è un omaggio alle colonne sonore scritte da Nino Rota per il regista riminese.
Gianluca Podio è nato nel 1963 e si è diplomato all’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Suona il pianoforte. Solitamente suona musica classica, ogni tanto si concede invasioni nel pop, tra i jingle delle trasmissioni televisive un po’ per divertimento un po’ perché si deve pur campare. "Piano music" (Arteconarte), suo ultimo disco, si ascolta che è un piacere. Gli studi accademici si sentono e ne fanno un disco colto, la melodia e la venatura pop ne fanno un disco disimpegnato.

Musica (post) classica
Uri Caine non ha tutte le rotelle a posto. Qualche mese fa, per dire, ha pubblicato quattro dischi: uno al pianoforte solo, uno di jazz rock, un altro di musica brasiliana e un ultimo con un trio che ha chiamato The Philadelphi Experiment. Ma da qualche anno si è specializzato di riletture folli delle partiture dei compositori classici. Felicissimo il suo Wagner con le chitarre rock e i dj alla consolle. Poi si è occupato di Mahler, di Bach (il meno riuscito) e per ultimo di Schumann "Love Fugue" (Winter & Winter). La formula è sempre la stessa, si parte da quelle composizioni, si mette su un ensemble di musica classica, si aggiunge un gruppo jazz, un po’ di diavolerie elettroniche e si frulla tutto. Si stenta a crederlo, ma il risultato è davvero bello.
Christian Rocca

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