I giornali israeliani di ieri sono pressoché monotematici, del resto i morti del giorno precedente sono 21, trecentotredici dall’inizio della nuova Intifada (settembre 2000). Che fare? Come uscirne? Nessuno ha la soluzione, tantomeno il primo ministro Ariel Sharon, e questo è davvero un problema per quasi tutti gli editorialisti israeliani. Yediot, in prima pagina, fa parlare una fonte governativa anonima: nella riunione del gabinetto Sharon, ieri notte, s’è discusso di rioccupare i Territori. La prima decisione presa però è la solita: intensificare la pressione sull’Autorità palestinese. Sharon è convinto che Arafat abbia preso una decisione strategica contraria al processo di pace e così ha proposto di rimettere i tank dell’esercito di fronte al suo quartier generale. Il ministro della Difesa, Ben-Eliezer, lo ha convinto che no, è meglio non restringere i movimenti del leader palestinese per evitare un’ulteriore reazione e per permettergli di esercitare la propria autorità su quelle organizzazioni che progettano altri attentati contro Israele.
La cosa più grave è un’altra. Non c’è più solo Hamas a lanciare attacchi terroristici. I Tanzim e Fatah, i movimenti meno integralisti dell’area palestinese, per non perdere terreno nei confronti della popolarissima Hamas hanno deciso di gettarsi nella mischia, e come dice il leader dei Tanzim, Marwan Barghouti, gli attacchi ai check point dell’esecito israeliano continueranno. Arafat e Sharon sono i Thelma e Louise del Medio Oriente, scrive Amir Oren su Haaretz, l’uno vuole trascinare l’altro negli abissi. Con il risultato, sul fronte israeliano, che cresce la popolarità di Bibi Netanyahu. L’ex premier è intervenuto su Yediot con un’opinione contrarissima al piano di pace saudita: "Ritirarci sui confini del 1967, vuol dire aiutare Arafat a eliminare lo Stato d’Israele". La proposta di Bibi è forte: "Non si può sconfiggere il terrorismo senza prima sostituire la leadership palestinese". Duro quanto si vuole, ma almeno c’è un’idea. Quello che gli editorialisti imputano a Sharon è proprio la mancanza di un progetto, di una visione. Scrive Sima Kadmon, su Yediot: "E’ difficile dare un consiglio a Sharon. Però deve decidere, non importa che cosa, purché scelga cosa fare: pace o guerra, e la smetta con le esitazioni e i calcoli politici". Qualcuno vorrebbe le dimissioni, ma Kadmon aggiunge: "Sharon è un premier senza un piano né un via d’uscita, ma la cosa peggiore è che è un premier senza alternative". L’articolo più interessante l’ha scritto Benny Morris, lo storico israeliano che si è sempre battuto per una conciliazione tra i due popoli. Sul Guardian del 21 febbraio ha cambiato idea e spiegato in un argomentato saggio come la pacifica coesistenza sia ormai impossibile.
5 Marzo 2002