Levittown (Long Island). Al Jackie Reilly’s sono tutti irlandesi, questa è zona irish. Si pagano venti dollari a testa per entrare. I soldi ovviamente vanno in beneficenza. Te ne chiederanno ancora dopo, altri dieci per una specie di lotteria. Appena entri nel pub – perché il First Annual Heroes Appreciation Day si commemora in un vero pub irlandese – ti mettono in mano un compact disc. In copertina c’è una bandiera, un casco e una tuta da pompiere. Si intitola "A sacrifice so dear" ed è scritto e cantato per l’occasione dal tenente Jim Coyne dei Firefighters di New York. Alle tre meno un quarto del pomeriggio c’è ancora nessuno. In un angolo, ma in bella vista, ci sono due enormi torri di carta colorata red, white and blue, i colori dell’America. Se ti avvicini ti accorgi che con scrittura minuta qualcuno ha riportato i nomi dei morti, quegli stessi nomi che ogni domenica il New York Times celebra con dei mini "ritratti del dolore". Su una parete, giusto accanto al buffet, sono appese le fotografie degli eroi locali. Una ragazza bruna ha gli occhi lucidi e in mano una fotografia. La incolla alla parete e mi chiede una penna. Le serve per scrivere il nome: Patrick John Lyons, FDNY 252. E’ suo fratello, morto nella torre Sud a poco più di trent’anni. Lei è orgogliosa di suo fratello, indossa la sua maglia, quella con lo scudo dei pompieri di New York, il nome stampigliato davanti e l’enorme scritta FDNY sulle spalle. Ora che il pub è pieno si vede che tutti indossano magliette commemorative. Ci sono sempre le Torri, i nomi dei pompieri scomparsi, gli slogan patriottici. Ne vendono una bellissima di color verde, verde come l’Irlanda. Sul lato sinistro della T-shirt c’è un trifoglio bordato di verde chiaro e colorato come se fosse una bandiera americana, sopra c’è la sigla del NYPD, i poliziotti di New York, e sui due lati ci sono quella dei pompieri e del Port Authority Police Department. Sotto c’è scritto: "Remember the heroes". Con questa t-shirt addosso, si avvicina anche una ragazza che sembra essere la moglie di Patrick Lyon. E’ giovane, carina e bionda e con la faccia da irlandese. Stringe le spalle della cognata, e accanto a quella del marito mette una fotografia del figlio, che ha appena compiuto otto mesi.
A New York, in città, si pensa che la prossima volta accadrà a Times Square, oppure tra la 50esima e la Fifth Avenue, o magari su Broadway. Gli psicologi spiegano che il peggio deve ancora arrivare, che la seconda ondata di ansia, quella che ti prende passati sei mesi dall’evento – e ieri sono trascorsi esattamente 182 giorni dall’11 settembre – è davvero pesante, ti stende. I giornali raccontano che c’è ancora qualcuno che fatica a mettere il naso fuori, tanta è la paura che l’inimmaginabile possa ripetersi. Le bandiere ci sono ancora in giro, nelle vetrine, sui palazzi, dentro le macchine. Ma poche, tutto sommato. Si va avanti, e la retorica patriottica un po’ ha stancato. I newyorchesi sembrano voler inscenare la normalità, sui marciapiedi recitano la vita precedente all’11 settembre. Ma se vedi una donna elegante, e la vedi affrettarsi tra una vetrina e l’altra con le buste dello shopping, ti viene ovvio immedesimarti e pensare: "Ehi, ci sarà un’esplosione nucleare oggi pomeriggio e io non so che cosa diavolo mettermi".
Sei vai in Suburbia però è diverso. Se vai a Long Island è molto diverso. Se vai a Levittown, a questa commemorazione, te ne accorgi. Qui, che è il posto dove è nato Billy Joel, la gente non ha paura a mostrarsi ancora sotto shock. Qui il patriottismo è di casa. Tutti hanno un amico che è morto dentro il World Trade Center, qualcuno che lavorava lassù, qualcuno che era salito per soccorrere chi era rimasto intrappolato e poi non è più tornato.
La Guinness scorre a fiumi come in un pub di Limerick. Kevin e Tom Smith, sotto un’enorme bandiera americana, cominciano a suonare musiche tradizionali d’Irlanda. Una fa urlare di gioia e cantare in coro gli avventori. Il ritornello dice: "The devil rose again/the devil rose again/ and join the british army", il diavolo è risorto e si è arruolato nell’esercito inglese. C’è la banda musicale dei pompieri di New York, e poi quella dei poliziotti. Suonano i tamburi e le cornamuse. Sono tutti irlandesi, e ci tengono a rimarcare che questi non sono pompieri e poliziotti qualunque, sono gli stessi che sabato prossimo sfileranno nella San Patrizio Parade a Manhattan. Tutti sono allegri, anche la sorella di Patrick Lyons ride. Anche i parenti del poliziotto Brian McDonnell cantano e ballano. Anche gli amici del pompiere Donald Regan scherzano. Prima del buffet, che è a base di pasta e pollo e salsiccia e patate, una ventina di ragazzini si esibisce nelle danze tradizionali. Ciascuno di loro viene presentato come il campione del mondo di ballo irlandese, il vicecampione americano, il campione di East America e così via. Uno di questi è nipote di Noel Cox, uno che è arrivato in America sedici anni fa. In Irlanda guadagnava 40 dollari la settimana e non aveva niente. E’ partito per l’America e ora dice che quella è stata "the best move of my life", la scelta migliore della sua vita. E lo dice nonostante molti suoi conoscenti siano morti sulle Torri. A Long Island si è sposato con Maureen, che spiega come la vita di suo marito sia simile a quella del protagonista di "Le ceneri di Angela", il libro di Frank McCourt che qui conoscono tutti a memoria. "Pativa la fame, aveva le scarpe bucate e perso i genitori", dice mentre mi presenta tutto il parentado: "Noi siamo come voi italiani, crediamo nella famiglia". Ci credono così tanto che Maureen e Noel si sono sposati la sera stessa che si sono conosciuti. A Noel dissero "guarda che qui a Long Island c’è una ragazza irlandese che fa al caso tuo"; a Maureen dissero la stessa cosa. Combinarono il blind date, e poche ore dopo si sposarono. Tom, il fratello di Maureen, ha sposato invece una ragazza siciliana, Giovanna Milana. E’ morta giovane Giovanna, e ora è sepolta al cimitero di Alcamo. Lui da tredici anni vola fin laggiù, per onorarne l’anniversario che cade in ottobre. L’anno scorso ha mancato l’appuntamento, per l’11 settembre. "Quest’anno – mi dice Tom – possono buttare giù anche il mondo ma io da Giovanna ci vado".
12 Marzo 2002