New York. Qui vanno matti per le biografie dei presidenti. Non è una novità, però si è fatto appena in tempo a leggere il libro di Peggy Noonan su Ronald Reagan di cui è stata speech writer, che in libreria ne sono arrivate altre otto, tutte ben documentate, interessanti eccetera. Si celebrano le virtù di Lincoln, il Clinton risanatore, e la prima dinastia presidenziale, quella degli Adams. Poi c’è un bel volumone sulla guerra segreta di Roosevelt, l’ennesimo profilo di Kennedy e perfino un’elegia del Principe del Tennesse, cioè il wannabe, vorrei-ma-non-posso, presidente Al Gore.
Queste biografie presidenziali vendono bene, ma non possono competere con altri due libri appena usciti e che in questi giorni si contendono le pagine letterarie dei giornali più importanti. Un reportage su George W. Bush e un saggio su Bill Clinton. C’è anche una terza biografia per la verità, ma filmata. E’ un documentario sulla campagna presidenziale di Bush, ed è stato presentato venerdì ad Austin, Texas cioè proprio a casa del presidente.
Le tre opere hanno un curioso punto in comune, anzi ne hanno due. Sono state scritte e ideate da persone non simpatetiche al soggetto dell’inchiesta e finiscono per risultare tutt’altro che malevole, tanto che a proposito dei tre autori qualcuno ha scritto che si tratta di un classico esempio di sindrome di Stoccolma.
Frank Bruni ha seguito per due anni Bush non per passione, per lavoro. Ma alla fine sembra che se ne sia quasi innamorato. Bruni è un inviato speciale del New York Times, giornale che apertamente s’è schierato a favore dell’avversario di Bush alle elezioni presidenziali di due anni fa. Il suo libro è "Ambling into History – The Unlikely Odyssey of George W. Bush", che è traducibile in "A passo lento nella storia – L’incredibile odissea di Bush". Di questo libro si parlava da tempo, era anche uscita qualche anticipazione, insomma ci si aspettava molto, moltissimo da un cronista-avversario che oltre a essere molto bravo ha vissuto per mesi fianco a fianco prima con il candidato repubblicano e poi con il presidente degli Stati Uniti. Bruni fa un ritratto aneddotico di Bush, racconta le sue gaffe, la sua dislessia, le sue scarse letture, l’incapacità oratoria, il suo straight talk, che è il parlar chiaro e in modo poco diplomatico e così via. Il Bush candidato, agli occhi del reporter non sembra affatto costruito per guidare il mondo. Bush è un fannullone, uno che come dice lui stesso mai aveva pensato di poter diventare presidente. Queste cose erano note, Bruni le ha condite con racconti di prima mano, battute e chiacchierate con il presidente e gli uomini dello staff. La prima parte del libro scorre così – Bush a un certo punto si rivolge a Bruni chiamandolo "Pancho", senza alcun riferimento al professore italiano dei giorotondi – ma è come se questi episodi rimanessero sottotraccia, quasi fossero delle didascalie a una biografia di uomo che in fondo è simpatico, gioviale, caciarone e che spesso stupisce con inattesi lampi di genialità. Bush non ha mai sentito nominare Leonardo DiCaprio, scrive ad esempio Bruni, né ha mai visto la serie tv Friends, e il suo attore preferito è Chuck Norris, ma non è certo da questi particolari che si giudica un presidente. Poi c’è stato l’11 settembre, e Bruni cambia tono. Bush fa ancora parecchie gaffe ma ha capito che questa è l’occasione della sua vita e si è trasformato in una specie di Winston Churchill del XXI secolo. Esagerazione, ma i sondaggi di questi giorni hanno spazzato via il tentativo dei Democratici di riaprire la caccia a Bush.
Alexandra Pelosi è citata nel libro di Bruni come una rompipalle pazzesca. Lavora per Nbc News e ha seguito la campagna presidenziale con una videocamera digitale da mille dollari. Si agitava molto – scrive Bruni – sull’autobus prendeva il microfono e cercava di coinvolgere tutti. Ogni tanto scompariva per andare a trovare parenti o amici in questa o quella città, e spesso li faceva aspettare perché aveva sempre dello shopping da fare. Bush, che è di una puntualità maniacale, diventava matto e una volta le disse che si stava comportando come una bambina, ma in fondo subiva il fascino di questa ragazza con la telecamera. Alexandra Pelosi è figlia della donna più potente della Camera, Nancy Pelosi di San Francisco, che è anche capogruppo dei Democratici. Alexandra è una liberal convinta, e una liberal californiana non all’acqua di rose, eppure i 75 minuti del suo documentario, "Journey with George", sono un po’ come il libro di Bruni, lo spettatore che ama il presidente dirà "ehi, quest’uomo è proprio uno di noi", chi lo detesta avrà la conferma delle sue peggiori convinzioni. "La cosa che mi ha sorpreso – dice Pelosi – è che mentre montavo il film nessuno sia venuto a controllare che cosa diavolo stessi facendo".
Anche Bill Clinton ora è trattato bene da un suo nemico storico. Joe Klein è l’autore di Primary Colors, il romanzo che fece del presidente dell’Arkansas una macchietta, ma ora in "The Natural: The Misunderstood Presidency of Bill Clinton" spiega che nonostante alcuni errori madornali è stato un grande presidente, e lo dice in un momento di difficoltà per Clinton, accusato di non aver agito quando gli capitò l’occasione giusta di colpire Osama Bin Laden.
14 Marzo 2002