Camillo di Christian RoccaBUSH, LA COLOMBA. Gli americani non vogliono più Arafat

Washington. Paul Wolfowitz è considerato il più falco tra i falchi dell’Amministrazione Bush. E’ il numero due al Pentagono, il vice di Donald Rumsfeld, un uomo ossessionato dal pericolo batteriologico che potrebbe arrivare da Saddam Hussein. Dipendesse da lui, il rais di Baghdad sarebbe già coperto da una montagna di bombe, e ora piuttosto ci sarebbe da occuparsi degli ayatollah iraniani e poi della Siria.
Il ritratto di Wolfowitz è di quelli che piacciono ai media europei, è il duro, il cattivo, il senza cuore tra i senza cuore della destra reazionaria di Bush, che è imperialista, affarista e prigioniera del ricatto proveniente dai miliardi della lobby ebraica. Eppure le oltre centomila persone che lunedì hanno manifestato in favore di Israele davanti a Capitol Hill, raccontano che è vero il contrario.
Oggi Bush e i suoi sono i più moderati nella difesa di Israele, sono quelli che più di altri cercano di comprendere le ragioni palestinesi. I Democratici criticano duramente Bush ma non per i motivi che si sospettano in Europa, non perché appoggi Israele e non imponga il ritiro dai territori, ma per i motivi opposti. I democratici, Joe Liberman in testa, cioè il vicepresidente americano se avesse vinto Al Gore, giudicano un insulto le richieste a Sharon di fermare l’azione militare, pensano che la missione di Powell è inutile, sono certi che Yasser Arafat è un terrorista.
I manifestanti hanno chiesto a Powell di non ripetere gli errori che commise Chamberlain con Hitler. "Sharon è il nostro eroe", "Sharon è il nostro Churchill" era scritto su alcuni cartelli. "We gave peace a chance", abbiamo già dato una chance alla pace, si leggeva su un altro. Un signore del Maryland mostrava la foto di un bambino palestinese con una cintura esplosiva, "neanche Hitler è arrivato a tanto". "Grazie a Dio, rispetto a 60 anni fa, questa volta abbiamo un esercito", diceva uno di Brooklyn.
Sul palco, il falco Wolfowitz era la colomba. E’ stato appaludito quando ha condannato il terrorismo, ma è stato coperto dai buuu di dissenso quando ha detto che in Medio Oriente non soffrono soltanto gli israeliani, e appena ha parlato di indipendenza della Palestina. La folla lo ha interrotto, "no double standards, no double standards", non si facciano distinzioni, contro il terrorismo si deve rispondere allo stesso modo, con loro non si tratta. Non che la folla fosse assetata di sangue, tutt’altro. Era una manifestazione di gente disperata per i parenti che stanno in Medio Oriente, preoccupata che l’odio antiebraico possa trasformarsi in un secondo Olocausto. Ed era commovente vedere come facessero la fila davanti al banchetto dei "Cristiani per Israele", per stringere la mano e ringraziare chi sta dalla loro parte anche se non è ebreo. D’altra parte non si contavano i cartelli contro la vergogna europea, specie del governo francese.
L’Israel Rally era un raduno di famiglie, di ragazzi, di studenti, ebrei e non ebrei, che non si fidano più di Arafat. Il loro ragionamento è semplice: tutte le volte che un leader arabo non ha espresso l’odio per gli ebrei, Israele ha sempre firmato la pace, e lo ha fatto con Anwar Sadat e con Hussein di Giordania. Se con Arafat non ci sono riusciti cinque diversi premier israeliani, di destra e di sinistra, moderati e falchi, un motivo ci sarà, e dunque va rimosso.
Uno dei leader dei Democratici, Dick Gephardt, è stato chiaro: "Arafat non ha dimostrato di volere la pace". Elie Weisel, premio Nobel per la pace e leggenda del mondo ebraico, ha spiegato che così come il terrorismo non conosce frontiere, anche la guerra al terrorismo non ne deve avere. "Finish the job", c’è da finire il lavoro e Dio benedica l’America, Israele e i suoi soldati, gli eroi, i firefighters d’Israele.
"E’ stata la più grande manifestazione in favore di Isreale in 54 anni di storia dello Stato ebraico", dicono gli organizzatori. La gente è arrivata da ogni parte d’America, finanche dal Canada. Il palco era gremito di deputati e senatori, tra cui Hillary Clinton.
C’era Bibi Netanyahu, la star. Il duro che ha fatto il discorso più politico, ringraziando Bush e mai facendo cenno ai tentenneamenti di Washington, alle richieste di ritiro dai territori, alle critiche al governo. "Siamo entrambi figli della libertà – ha detto – sappiamo distinguere il bene dal male, la cosa giusta da quella sbagliata. Combattiamo la stessa battaglia, nessuno di noi l’ha cercata ma insieme la vinceremo". Con Arafat non ci si confronta, non è un partner ma un terrorista da "distruggere", al contrario di Gandhi, di Martin Luther King e dei dissidenti sovietici che scelsero la nonviolenza e non il terrorismo per le loro lotte. Il trionfo è stato per Rudy Giuliani. L’ex sindaco non ha girato intorno: "Sappiamo chi ha ragione e chi ha torto", e un caro saluto al "my good friend Ariel Sharon".

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