Washington. "Ogni giorno decine di migliaia di israeliani dànno settimane della propria vita per difendere lo Stato ebraico. Molti hanno dato la propria vita a Israele. Vi chiediamo di dargli un giorno della vostra". Accogliendo questo invito, ieri pomeriggio, gli ebrei d’America sono scesi in piazza al fianco di Israele, in curiosa contemporanea con l’Israele Day promosso a Roma dal Foglio (più cercata è la coincidenza con il 54esimo Independence Day israeliano). Decine di migliaia di persone, giunte a Washington da tutto il paese con aerei treni e 700 pullman, si sono radunate davanti a Capitol Hill, la sede del Congresso americano, per manifestare la solidarierà allo Stato d’Israele e appoggiare la campagna americana contro il terrorismo globale.
"Stiamo con Israele oggi e per sempre. Siamo contro il terrorismo e per la pace", era lo slogan ufficiale. Ma il cartello più diffuso, in mezzo a migliaia di bandiere con la Stella di David e alla Old Glory americana, diceva: "Ovunque stiamo, stiamo con Israele". La manifestazione, che qui chiamano Israel rally, è stata promossa dalle comunità ebraiche, da tutte le comunità d’America. A cominciare da quelle riunite nella United Jewish Communities, fino ai 54 membri della Conference of Presidents of Major American Jewish Associations.
E’ stato un raduno bipartisan, questo di Capitol Hill. Tra i promotori c’erano tutte le anime dell’ebraismo americano, l’ala religiosa più tradizionalista e quella più riformista; chi sta alla destra dello schieramento politico e chi si colloca alla sua sinistra. E non poteva essere altrimenti, in un paese dove contano le questioni, i problemi, le issues, più che gli schieramenti. E se la issue in gioco è l’esistenza dello Stato d’Israele, è difficile che si facciano distinzioni o distinguo.
Così a Washington ieri c’erano anche le organizzazioni ebraiche che non condividono la politica di Ariel Sharon ad applaudire Bibi Netanyahu, che è molto più duro del primo ministro israeliano contro il nemico Yasser Arafat. Netanyahu in questi giorni è la star dei media americani. Ha girato gli Stati Uniti per spiegare che cosa sta succedendo laggiù, e lo ha fatto su mandato di Sharon, di cui è il principale avversario alle prossime elezioni. Ma in questo momento non conta, Bibi qui ha fatto l’high school e l’università e parla al cuore degli americani come nessun altro israeliano sa fare, questo conta. E’ ospite fisso ai talk show della sera, ("potrebbe tranquillamente vincere in Florida", scherzano i commentatori), e in fondo non dice cose molto diverse da quelle che ha scritto domenica sul New York Times l’ex premier laburista, Ehud Barak.
C’è una differenza di toni, di uso delle parole, e una maggiore predisposizione al dialogo con la controparte araba ma mai prima che le centrali del terrore siano spazzate via militarmente. Molti, sia destra sia a sinistra, concordano con l’idea di costruire un recinto per isolare e proteggere Israele dall’ingresso dei terroristi, e infatti la costruzione del muro è già cominciata.
Anche un uomo di sinistra come Elie Weisel, premio Nobel e boss della Lega Anti diffamazione, ha aderito e senza pruriti, così come il 24 marzo, a New York, aveva sottoscritto un appello in favore di Israele con Ariel Sharon e Shimon Peres. E così molti esponenti dei Democratici, che se per un verso cominciano a mugugnare per la politica anti terrorismo di George Bush, sulla difesa della democrazia israeliana non hanno dubbi, e tra loro c’erano il senatore del Connecticut, Joe Liberman, che fu candidato vicepresidente con Al Gore, e il senatore di New York, Charles E. Schumer.
All’Israel rally c’erano anche gruppi ebraici meno propensi al redde rationem con Arafat, le cosiddette "colombe" come Israel Policy Forum e New Israel Fund. A Bush hanno chiesto apertamente di insistere per i negoziati di pace. Ma la richiesta più diffusa è stata quella opposta, caro Bush non puoi chiedere di fermare l’offensiva militare prima che l’operazione antiterrorismo sia completata.
Secondo il Jerusalem Post, lo spirito dei manifestanti è sembrato quello del grande rally che si era tenuta sempre qui a Washington nel 1987, quando centinaia di migliaia di ebrei e di non ebrei solidarizzarono con i refuznik, gli ebrei dissidenti dell’Unione Sovietica.
Gli organizzatori hanno anche avviato la grande raccolta fondi per gli israeliani. La campagna è stata chiamata Israel Emergency Fund e porterà nelle casse di Gerusalemme centinaia di milioni di dollari