Un’altra opera struggente di un altro formidabile genio è nelle librerie americane da qualche giorno. Vi ricordate del primo formidabile genio? cioè di Dave Eggers? Luca Sofri, massimo eggersiano d’Italia, ne parlò su Max e per il Foglio scrisse un ritratto, prendendo a prestito dal genio lo stile, che è solo apparentemente scombiccherato. Il libro si intitolava, appunto, "L’opera struggente di un formidabile genio" (Mondadori).
Il libro di Eggers, che è il Barney dei trentenni, è talmente bello che viene voglia di riscriverne la recensione, se non fosse che sulla stessa scia è arrivato un altro giovane autore-prodigio, e di questo ragazzo delle meraviglie c’è da parlare.
Dunque, eccoci al libro struggente di quest’altro formidabile genio. Si intitola "Everything is illuminated" (Houghton Mifflin, 24 dollari), l’autore è Jonathan Safran Foer (pronuncia Four, come in inglese si pronuncia il numero 4). In questi giorni è imbarazzante aprire i giornali newyorchesi, siano essi settimanali, mensili, riviste, magazine o qualsiasi altra cosa. Li apri e ci trovi una recensione entusiastica di "Everything is illuminated". Perché il concetto sia chiaro, l’elogio viene spesso pubblicato più volte, ed è il caso del New York Times che ha già incensato Safran Foer quattro volte in dieci giorni.
Se la si vuole mettere in modo serio, questo è un libro sugli effetti dell’Olocausto sui sopravvissuti e sui loro familiari; sul rapporto tra passato e presente. Ma è tutt’altro che un racconto noioso. Ci sono tre storie dentro, una autobiografica, una inventata, una metà e metà. Uno dei protagonisti è il ventenne Jonathan Safran Foer, cioè lui stesso, che va in Ucraina alla ricerca della donna che salvò suo nonno dallo sterminio (la storia è vera). Un altro è Alex Perchov, un coetaneo ucraino che gli fa da guida insieme con il nonno e un cane che si chiama Sammy Davis Jr. Jr. (due volte junior). Alex ama l’America e cerca di impressionare il suo ospite. I risultati sono esilaranti, a causa del suo scombinato inglese (questa storia è finzione). Il terzo protagonista del romanzo è il villaggio ucraino di Trochimbrod, il paese del nonno di Jonathan (vero). La storia (fiction) comincia alla fine del 1700 ed è scritta in un inglese antico. Man mano che si va avanti con il libro, l’inglese di Alex migliora e la storia del villaggio ucraino si avvicina ai nostri giorni. Un colpo di scena finale congiunge tutto quanto.
Lo stile, anche tipografico, è simile a quello di Eggers, audace e nuovo. Sembra a tutti che sia nata una scuola, anche se i due probabilmente non si conoscono. Safran Foer fa largo uso di parentesi, corsivi, grassetti, suoni onomatopeici, testi di canzoni, lemmi di enciclopedia. E scrive benissimo, ovviamente. Lui è completamente matto. Il romanzo lo ha scritto a 20 anni, e ora che ne ha 25 è pronto con il secondo, ambientato in un museo dedicato a un soccombente, a uno scrittore degli anni 30 i cui diari non sono passati alla storia per colpa di Anna Frank.
Ora Jonathan è diventato milionario. Ma quando ha ricevuto il mezzo milione di dollari di anticipo, non si è licenziato dal suo lavoro di centralinista. Ha aspettato due mesi per lasciare il posto, "andarmene subito sarebbe stato da stronzo", dice. Jonathan è un ragazzo a modo e gentile, dicono che gli si addica perfettamente la frase "nice jewish boy". Ora la sua principale preoccupazione è il giro in 38 città per promuovere il libro. Non perché sia faticoso o che altro, no. Jonathan non sa se riuscirà a riempire tutte e 5 mila le buste con cerniera che ha deciso di portarsi con sé. Passa le notti riempendo ciascuna busta con una matita e una cartolina bianca preaffrancata. Jonathan ha intenzione di distribuirle ai suoi lettori, i quali dovranno descrivere se stessi e poi imbucare la cartolina preaffrancata. Jonhatan le leggerà tutte. E’ il suo "Progetto autoritratti". Jonathan è ossessionato dalla posta. Compiuti gli undici anni ha cominciato a tempestare personaggi famosi con sue lettere. Ora è sereno perché ha trovato un ufficio dell’Us Mail con una casella postale molto capiente, e poco importa se è lontana da casa. L’altro suo grande progetto è sulle pareti del suo appartamento, a Queens. Chiede ai romanzieri americani di inviargli il foglio bianco su cui stanno per scrivere. "Progetto fogli bianchi", si chiama. Gli rispondono quasi tutti, lui incornicia il pezzo di bloc notes, il foglio A4 o quello che è, e lo appende al muro.
Diciamo che Jonathan è eccentrico. Ha stupito tutti per aver rifiutato il party newyorchese che era stato organizzato in suo onore. Non ha tempo, dice. "Mi devo preoccupare soltanto di scrivere un altro libro, poi un altro , e poi ancora un altro. A quel punto tutto sarà ok". Tutto sarà illuminato.
27 Aprile 2002