Milano. L’undici aprile Paolo Cantarella, amministratore delegato della Fiat, ha presentato al presidente del Consiglio la nuova ammiraglia del gruppo torinese, la Lancia Thesis. Silvio Berlusconi, in doppio petto blu, è salito e sceso dall’auto due volte, s’è seduto al volante, ha provato il posto del passeggero e perfino il confort dei sedili posteriori: "Cribbio, ma è bellissima", ha detto ai giornalisti con la sua celebre intonazione meneghina. "Caro Cantarella, lei ha un cliente in più gli ha detto Questo modello colma il vuoto lasciato dalla Fiat 130, la macchina di rappresentanza per i manager e imprenditori di cui tutti abbiamo usufruito per anni". Cantarella era felice. "Io ho diverse città da coprire ha aggiunto Berlusconi Guardi, ne prendo almeno sei, una ad Arcore, una a Roma, poi per la Sardegna e per tutti gli altri posti". Cantarella e tutto il management Fiat hanno lasciato Palazzo Chigi con qualche speranza in più, e convinti che con un direttore delle vendite come il presidente del Consiglio i guai di Fiat Auto svanirebbero in un attimo. Un mese e dieci giorni dopo, Silvio Berlusconi non ha comprato neanche una Thesis, anche perché a tutt’oggi è impossibile acquistarla. L’automobile Lancia Thesis non è ancora disponibile al pubblico.
La crisi di Fiat è crisi del settore automobolistico dell’azienda torinese, che comprende Fiat, Alfa Romeo e Lancia. Gli altri comparti, tipo quello dei camion, vanno bene. Detta in breve, gli italiani non comprano più le Fiat. E’ vero?
I dati dicono altro. La macchina più venduta in Italia negli ultimi quattro mesi è una Fiat, la Punto (88.002 auto). Anche la seconda è una Fiat, la vecchissima Panda (37.509). Poi ci sono la Ford Focus e la Peugeot 206. Al quinto posto un’altra Fiat, la nuovissima Stilo che nelle intenzioni e nelle più rosee speranze avrebbe dovuto salvare la Fiat già in questa stagione (30.682). Al sesto posto un’altra Fiat, la Seicento (30.096). Anche al settimo c’è una macchina del gruppo, la Lancia Y (28.861). Cinque modelli ai primi sette posti sono della Fiat. A un profano, questa non sembrerebbe crisi. Ma non è così.
La fiducia c’è, ma decresce un po’ troppo
Gli italiani continuano a comprare le Fiat, ma ne comprano sempre di meno. Nel 1991 era dei tre marchi italiani più della metà delle automobili vendute (54 per cento), ora la quota di mercato si è assottigliata fino al 35 per cento. Da dieci anni sono gli stranieri a dominare, l’anno scorso il 67 per cento delle macchine vendute non erano Fiat. Ci sono ragioni diverse che spiegano questo tracollo. A seconda dell’interlocutore la spiegazione è differente. C’è chi accusa il management, chi le scelte strategiche e industriali, chi dà la colpa al mercato "drogato" dagli incentivi, chi al costo del lavoro, chi semplicemente al fatto che le macchine sono brutte e poco affidabili. C’è chi giura, invece, che le nuove automobili Fiat siano affidabili, tecnologicamente avanzate ed ecologicamente all’avanguardia. Altri ancora non riescono a credere che quest’azienda sia in crisi pur avendo inventato il motore diesel Common Rail, il più grande successo commercial degli ultimi venti anni. Solo che Fiat non ci ha creduto e ha ceduto per due lire il brevetto alla Bosch, che ancora oggi ringrazia. Gli errori li commettono tutti, solo che nel caso delle automobili Fiat cominciano a essere un po’ troppi. Fiat era a un passo dall’accordo per produrre la Smart, grande successo commerciale, ma alla fine ha preferito la 600, un insuccesso. Giugiaro aveva proposto la Matiz, una minuscola monovolume, ma alla fine è uscita dalle fabbriche Daewoo. Anche aver lasciato andar via Walter Da Silva, il designer di due macchine, la 156 e la 147, che sono molto piaciute agli italiani è stato considerato un errore. Ora Da Silva disegna le Seat.
Secondo Patrizia Grassini, esperta di comunicazione e direttore del gruppo It Holding, "sempre di più l’automobile è un prodotto che deve catturare l’immaginario, deve essere griffata, fortemente connotata. Questo spiega il successo della Smart, una questione di immagine, cosa che la Fiat non riesce a comunicare ai suoi potenziali clienti. Agli occhi degli italiani la Fiat è altro, è un marchio più tradizionale che risponde al bisogno di comprare una macchina ma non appaga il desiderio di possedere un oggetto lussuoso. Per i desideri ci sono le Bmw, le Mini Minor, le Mercedes".
E’ un problema di comunicazione, per alcuni aspetti. Prendete la celebre pubblicità del "Buonaseeeera". Chi si ricorda che quel tipo che lava i piatti, ascolta la telefonata della ragazza disposta a tradire il fidanzato e che si presenta sul pianerottolo in realtà sta reclamizzando un’automobile? E quale automobile, poi? Non si vedono macchine in quello spot, c’è solo un invito a cogliere al volo l’occasione di un qualche sconto. "E’ una bella pubblicità ma passa il messaggio che chi compra Fiat è un po’ sfigato", continua Grassini.
Quasi tutte le campagne pubblicitarie Fiat sono così, con l’eccezione delle ultimissime, più tradizionali, pubblicate dai giornali in questi giorni. Lo spot della Palio, world car di scarso successo, per esempio è molto divertente e cattivista. C’è un ciclista che a ogni semaforo si appoggia a una macchina per riposare. L’automobolista se ne ha a male, ma al semaforo successivo la scena si ripete. Al quarto semaforo, proprio nel momento in cui il ciclista si sta per appoggiare di nuovo, il guidatore della Palio fa marcia indietro e il ciclista cade. Risate, ma la Palio non si vede. C’è chi sostiene che le auto non vengono mostrate perché sennò poi chi se le compra. La Palio è quella che è, ma come dicono Enrico Artifoni e Marco Marelli di Gente Motori, "è un’auto a basso prezzo costruita per le strade dissestate dell’America del Sud, magari se avessero comunicato che monta sospensioni e ammortizzatori particolarmente resistenti qualcuno l’avrebbe anche comprata".
Il management e la quota interna
In realtà dietro questa strategia della comunicazione c’è un piano ben preciso, che per molti è la vera causa della crisi delle automobili Fiat. Al management dell’azienda torinese in questi anni è stato chiesto di mantenere la quota di mercato interno, e su questa linea strategica il gruppo si è mosso. L’obiettivo principale è da anni quello di vendere macchine su macchine anche a discapito dei margini di profitto e di conseguenza degli investimenti di medio-lungo periodo. Il mercato è stato "drogato", come dicono gli esperti, dalla politica degli incentivi e dai "Chilometri Zero".
I "Chilometri Zero" sono un’invenzione Fiat. I concessionari immatricolano le auto che ricevono da Torino anche se non le hanno ancora vendute, pagano la Fiat e poi mettono in vendita le auto a un prezzo ribassato. I vantaggi sono per tutti, per la Fiat che vende anche se non c’è ancora il compratore, per il concessionario che al rendiconto finale vedrà aumentata la sua provvigione e per il cliente che acquista un’automobile con lo sconto. In questo modo si sono vendute molte automobili. Nel 2001 sono state immatricolate 2.436.799 automobili mentre nel 1996 erano 700 mila in meno. Ovvio che non poteva durare in eterno. I ritmi di vendita sono stati falsati dagli sconti e quando si è raggiunto il limite c’è stato il tracollo verticale. Nei primi mesi di quest’anno c’è stata una flessione del 13 per cento rispetto all’anno scorso. Nei primi quattro mesi 2002, Fiat ha perso il 17 per cento, Lancia il 31 per cento e Alfa il 12.
Non solo. Anche la rottamazione ha falsificato i dati del mercato. Un ex alto dirigente Fiat dice al Foglio che "la prima rottamazione è stato il certificato di morte dell’azienda". Ha sostenuto le vendite della Fiat ma alla fine ci ha guadagnato la Volkswagen che ha conquistato consistenti fette di mercato. E’ stata un’operazione voluta dal ministro Pierluigi Bersani e da Romano Prodi per consentire l’ingresso nella Ue dell’Italia. Infatti grazie alla maggiore produzione dovuta agli incentivi governativi il Pil italiano è aumentato dell’1,2 per cento, esattamente quello che mancava per rientrare nei parametri di Maastricht.
Questa politica alla lunga ha deteriorato i marchi Fiat. La Fiat e le consorelle Alfa e Lancia sono diventate sempre di più le automobili che si comprano perché costano poco o perché c’è lo sconto giusto. "Il paradosso spiegano Artifoni e Marelli di Gente Motori è che alcuni modelli Fiat sono molto buoni. La Stilo, per esempio, è tecnologicamente avanzata ed è l’unica in regola con le norme ambientali Ue che entreranno in vigore nel 2005, ma nessuno lo sa. Hanno privilegiato campagne pubblicitarie simpatiche piuttosto che comunicare il contenuto del prodotto".
quando Ferdinand Piëch ha preso in mano il gruppo Volkswagen. Ha trasformato l’Audi in auto di lusso, le Seat in auto sportive e grintose e le Skoda in macchine a basso costo ma affidabili e robuste come le Volkswagen". La strategia del gruppo tedesco era chiara, la comunicazione gli è andata dietro e il pubblico ci ha creduto.
Gianprimo Quagliano, direttore di Promotor, un centro studi specializzato in analisi sul mercato automobilistico, è convinto che il prodotto Fiat sia equivalente a quello dei concorrenti: "La Fiat ha però tre problemi, uno è quello di una gamma non sufficientemente ampia, per esempio non ha mai sostituito la Croma, non ha mai fatto un fuoristrada né una piccola monovolume e non ha auto di lusso. L’altro problema è quello dell’immagine del marchio e non è solo una questione di comunicazione ma c’entra anche il nostro tipico autolesionismo nazionale. L’ultimo punto continua Quagliano è quello delle scelte strategiche che si sono indirizzate verso prodotti a prezzo basso destinati ai mercati in via d’espansione". La Fiat, spiega Quagliano, voleva motorizzare la Cina e l’India così come aveva motorizzato l’Italia negli anni Sessanta e Settanta. Ma quei mercati non si sono sviluppati, e per raggiungere la quota di tre milioni di auto vendute all’anno si deve contare sul più tradizionale mercato europeo, per il quale la Fiat non ha una vasta scelta di modelli. "La situazione non è disperata conclude Quagliano basta recuperare l’immagine e arricchire la gamma". Non sarà facile, nonostante siano stati annunciati venti nuovi modelli, due all’anno per i prossimi cinque. Auto Oggi pubblicherà domani le indiscrezioni sulle nuove macchine, e il suo direttore Gianfranco Cozzi spiega al Foglio che la Fiat potrebbe essere aiutata a uscire dalla crisi "da quelle 8 milioni di auto non catalizzate, vecchie, pericolose e inquinanti che prima o poi gli italiani saranno costretti a cambiare".
Da qualche anno anche le auto blu dei ministri e dei dirigenti ministeriali non sono più del gruppo Fiat. L’inversione di tendenza è iniziata nell’ultimo anno del governo di centrosinistra, con la famosa Bmw 745 che Vincenzo Visco si portò dal ministero delle Finanze al Tesoro. Il suo successore, Ottaviano Del Turco, rimase senza macchina e prenotò anche lui una Bmw. Con l’accorpamento dei ministeri, Giulio Tremonti le ha ereditate entrambe e ora sta cercando di venderne una ma non ci riesce. Con l’eccezione del Presidente del Consiglio che viaggia in Lancia Kappa, e di qualcun altro che gira con la Lybra, quasi tutti gli altri ministri hanno una Audi o una Bmw come Gianfranco Fini. E’ il ministero dell’Interno che compra le auto blu, e in queste settimane si sta discutendo il rinnovo del parco auto. L’Audi sta facendo una politica aggressiva di sconti, la Fiat invece non ha ancora disponibile la Thesis e così ha proposto le vecchie Lancia K o le 166 Alfa da sostituire quando sarà disponibile il nuovo modello. La Corte dei Conti vigila, e sarà difficile scegliere un’auto italiana a un prezzo superiore rispetto a quella tedesca.
Ford si toglieva il cappello per l’Alfa
Henry Ford I era famoso per le sue battute, una delle quali diceva: "Quando passa una Alfa Romeo mi tolgo il cappello". Un altro suo motto era "Small cars, small business" (macchine piccole, pochi affari). La Fiat ha il suo business proprio nel segmento delle automobili piccole, e a differenza di ogni altro suo concorrente dipende prevalentemente dal mercato interno. Con l’eccezione della Toyota in Giappone, nessun altro paese al mondo ha un mercato monopolizzato da un solo gruppo; in America la General Motors ha il 30 per cento e la Ford il 20; in Francia i tre gruppi, Renault, Peugeot e Citroën si dividono il 65 per cento; in Germania la Volkswagen ha una fetta del 30 per cento. In Italia è sempre stato diverso. Fino al 1992 c’è stato il contingentamento delle auto giapponesi al 3 per cento, che è continuato in forme diverse fino alla completa liberalizzazione del 1999. "C’era anche il mito del costo dei pezzi di ricambio e dell’assistenza delle auto straniere dice Gianni Filipponi, segretario generale dell’Unrae, l’associazione delle case automobilistiche estere ora non è più così perché nel frattempo grazie anche ai grandi numeri tutti si sono attrezzati". Sono anche arrivate le auto coreane, che hanno rosicato punti nella fascia di mercato tradizionalmente della Fiat. Costano di meno, per esempio. "Nel segmento delle auto utilitarie non serve puntare sulla tecnologia, i cui alti costi ti fanno poi perdere la battaglia del prezzo spiega un ex dirigente Fiat Il cliente dell’automobile medio piccola guarda allo stile. E’ come per i frigoriferi, è indifferente il marchio, si pressuppone che dentro la pancia ci sia un motore equivalente". E’ vero, ma la prospettiva cambierebbe se a un certo punto un giudice costringesse un’azienda a richiamare 40 mila proprietari di frigoriferi per verificare e sanare a proprie spese un difetto di fabbricazione. E’ successo ieri alla Lancia, per le sue Dedra. Un caso che dà ragione a quegli americani che chiamano la Fiat "Fix It Again, Tony". Aggiustala di nuovo, Tony.