La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 23 settembre, si apriva
con la notizia della risicata vittoria di Gerhard Schroeder alle
elezioni tedesche.
Ma a Red. Corr. interessa andare a pagina 15, dove c’è
la conferma della previsione di venerdì scorso. Rep. è
finalmente arrivata a Baghdad, e non importa se con un ritardo
di settimane rispetto al Corsera, ad Avvenire e a tutta la stampa
internazionale; né frega niente che per riuscirci si sia
affidata a tal Guido Locaputo, direttore del Festival di Bisceglie
e Conversano, nonché amico di Makki Awed, uno degli attori
iracheni preferiti da Saddam. L’importante era arrivare, e il
fine giustifica anche i Locaputo. Ma a una condizione. E cioè
che il bravo Pietro Veronese non sia costretto a ricamare ogni
giorno intorno alla grandezza di Locaputo, sennò sarebbe
stato meglio farsi un giro nelle Murge. Nel primo articolo, uscito
domenica, c’era infatti un primo accenno ai talenti del teatro
iracheno e passi, perché è normale che i
favori si restituiscano. Ma ieri Rep. ha esagerato. Veronese
è stato costretto a scrivere del prestigioso festival
teatrale "Da Nabucodonosor a Saddam, Babilonia risorge sulla
via del jihad e della ricostruzione". Nell’articolo si legge:
"C’è anche una bandiera italiana, portata da un gruppo
di ragazzi del Gargano, che fanno musica etnica. Si chiamano
Perlanima, li ha condotti fin qui un poeta e teatrante visionario
di Conversano (Bari), Gino Locaputo".
Ci fermeremmo qui, ma c’è altro da recensire, anche se
meno visionario e per niente poetico. Rep. dà notizia
dei "clandestini gettati in mare: è strage".
Il sommario dice: "Sicilia, quattordici affogati. Speravano
nella sanatoria". Di nuovo, come per l’incidente della settimana
scorsa, Rep. lascia intendere che la colpa sia del governo. Li
ha ammazzati il Cav., forse. Attilio Bolzoni scrive: "Politica
dura contro i clandestini e poi però il miraggio di una
sanatoria, indecisioni governative, un’altalena che può
far anche morire chi viene dall’altro mondo".
Poi c’è la questione Arafat. Il leader palestinese è
assediato dall’esercito israeliano nel suo quartier generale
di Ramallah. Gli articoli di Rep. sulla vicenda sono cinque.
I titoli e i sommari raccontano di "umiliazione del premier
israeliano al rivale"; di "Usa contro Sharon";
di "offensiva dei paesi arabi per rompere l’accerchiamento";
di "Yasser tra le macerie della Moqata: Arrendermi? Piuttosto
mi sparo". E poi si racconta che "la gente è
scesa in piazza perfino in Libano"; che "protestano
anche Mosca e la Ue" e che "così non si combatte
il terrorismo". Tutto più o meno vero, e tragico.
Ma Rep. non spiega ai lettori i motivi della mossa israeliana.
Così dagli articoli emerge che la ragione sia la cattiveria
del "falco" Sharon, oppure un’odiosa rappresaglia successiva
all’ultimo attentato kamikaze.
Ovviamente non è così: Israele vuole da Arafat
la consegna dei terroristi responsabili dell’ultima strage, nascosti
proprio nel quartier generale palestinese. Ma Arafat non li vuole
consegnare. La notizia viene nascosta dentro un’intervistina
a un consigliere di Sharon.
La politica è ridotta a due paginette, una sulla Finanziaria
e un’altra su Piero Fassino. Il segretario dei Ds si è
presentato alla Festa dell’Unità con un pullover di stampo
berlusconiano e Rep. lo fa notare, senza sfottere però.
A dire il vero Fassino mette spesso i pullover, ma a Rep. evidentemente
è sfuggito. Il titolo è: "E rispunta l’orgoglio
della Quercia: dopo i girotondi ora tocca a noi". No girotondi,
no Concita De Gregorio e l’articolo così è firmato
da Michele Smargiassi, il quale a un certo punto a proposito
di Fassino scrive: "Però diciamolo, non è
che abbia quel carisma che si richiederebbe all’erede di Togliatti,
Longo, Berlinguer eccetera". C’è anche un articolo
di Barbara Jerkov (b.j.) su Marco Follini. Il titolo è
un classico di Rep., una sintesi del pensiero altrui. Dice: "Follini
striglia Tremonti: non comandi tu". Leggendo l’articolo,
Follini striglia soltanto e non dice "non comandi tu".
Tra le cose buone di ieri, un’intervista di Carlo Bonini al capo
della Celere di Roma, Vincenzo Canterini, e la battuta di Sebastiano
Messina sulla prima puntata di Domenica In: "L’unica cosa
irriverente è l’assenza di calzini sotto l’abito a doppiopetto
di Fabrizio Del Noce". Ottimo, come sempre, l’articolo di
Mario Pirani sulla retorica "terzomondista, antiamericana,
pseudorivoluzionaria" dei francesi.
Infine, la cronaca di Milano, dove Laura Asnaghi dà ragione
a Ferdinando Adornato e a Pietro Scoppola nella querelle con
Michele Serra a proposito dell’importanza del crocifisso: "Va
di moda il crocifisso nero, ma al collo". Pare che non sempre
piaccia ai papà: "Ma quella croce te la devi proprio
mettere? La risposta: Eh, sì. Tu non capisci perché
sei all’antica". (continua)
24 Settembre 2002