Il nuovo disco, il secondo, dei Coldplay è ok, ma si meriterebbe soltanto un paio di righe se non ci fossero da stabilire le regole del "Secondo Disco Ideale". Le regole ve le dico dopo, se non mi perdo prima. Intanto le due righe. A Rush of Blood to the Head non è un capolavoro, ma non è da buttare nel cestino. Fine. Vi pare pochino? D’accordo, ne aggiungo altre due. E’ un disco "carino", come i film italiani di nuova generazione, quelli con Margherita Buy. Cioè è un album che si ascolta piacevolmente o, per continuare con il paragone, che si può vedere serenamente. Non ti fa due-palle-così, ma non regge il confronto con un poderoso Bruce Springsteen o un bel filmone hollywoodiano con gli inseguimenti e le sparatorie.
Eppure, i Coldplay sono bravi. Bravi, davvero. Non per niente due anni fa fecero quel po’-po’ di debutto vi ricordate di Parachutes? Be’, io me lo ricordo, indi mi aspettavo qualcos’altro dai "Radiohead che fanno canzoni normali".
E invece A Rush of Blood to the Head è infarcito di canzoncine medie, belline, ma nessuna che mi inchiodi alla poltrona o mi tolga dalla testa la sigla della Champions League.
Il problema, come al solito, è il secondo album. Il concetto di secondo album è molto importante, decisivo. Il primo, quello del debutto, viene bene a molti gruppi, poi però non è facile farne uno altrettanto bello. Tracy Chapman sta ancora tentando di fare il suo secondo album, ma intanto è già al sesto.
Le regole del Secondo Disco Ideale sono queste:
1) Il Secondo Disco Ideale non deve essere una fotocopia del primo album, per ripetersi c’è tempo almeno fino a quando il welfare state inglese pagherà una pensione a Mick Jagger;
2) Meno che mai deve essere una raccolta di brani che non sono entrati nel disco di debutto, è da cioccolatai e non funziona, se ne accorgono tutti;
3) Il Secondo Disco Ideale non deve buttarla in politica, la rivoluzione o si fa al primo disco come fecero i Sex Pistol o si prova a farla più in là quando si diventa star di una certa grandezza (nei casi più disperati basta un invito di Massimo "Cancella il Debito" D’Alema);
4) Il Secondo Disco Ideale non deve essere affidato alle cure di produttori e case discografiche troppo attente a fabbricare un prodotto che funzioni alla radio, vengono fuori ciofeche da juke box estivo;
5) Ma, attenzione, il Secondo Disco Ideale non deve neanche stravolgere il primo disco. E’ come la Common Law, il sistema giuridico inglese che consiste nell’innovare la legge, ma nel segno della tradizione giuridica consolidata. Più terra terra: migliorarsi, conservando il meglio del passato.
Sì, d’accordo, manca qualcosa. Un fastidioso corollario a questi cinque punti fondamentali. E’ poco più che un dettaglio, me ne rendo conto, ma pare sia importante per ottenere un Secondo Disco Ideale: metterci dentro delle belle canzoni.
Applicando le Regole al disco dei Coldplay si scopre che ne hanno violate quattro su cinque. Gli concedo la numero 5, in effetti non hanno stravolto Parachutes, anzi è fin troppo simile (violazione regola numero 1). Il secondo brano del cd, In My place è una delle canzoni più belle del disco, ma era rimasta fuori dal cd precedente (violazione regola numero 2). La canzone d’apertura, Politik, è appunto politica (violazione regola numero 3). Parla di 11 settembre e dintorni, in modo confuso e ambiguo (è la scuola furbetta degli U2, i cui testi sono così vaghi che si adattano perfettamente a qualsiasi posizione ideologica) per cui ero pronto a non contestargli la Regola numero 3, nonostante quel verso "Open your eyes", apri gli occhi, che a me sembra una stupidaggine antiamericana. Poi gli occhi mi sono caduti sugli sproloqui noglobal contenuti nel libretto del cd, che si dà il caso essere edito dalla major discografica Emi, è zac anche la Numero 3 è andata a farsi fottere.
Alla Emi si sono dati molto da fare per promuovere il gruppo e hanno fatto non bene ma benissimo, ma c’è il sospetto che abbiamo dato un aiutino anche nella fattura del disco (violazione regola numero 5), viceversa non si spiegano quei dosaggi con il bilancino di sound beatlesiani, accenni agli U2, richiami ai Pink Floyd, citazioni dei Doors, atmosfere alla Echo and the Bunnymen, chitarre allla Neil Young e scopiazzature di un piccolo grande cantautore come Nick Drake.
Insomma, liberateli ‘sti ragazzi. Sono poco più che ventenni, i giornali inglesi li chiamano ancora "piscialetto" , e non si meritano un destino patinato e costruito a tavolino come gli Strokes o Britney Spears. Aspetto già il prossimo cd, il loro vero Secondo Disco. Basta seguire le regole, ed evitare testi come <Give me strength, reserve, control/Give me heart and give me soul>. Sono solo tre parole, ma c’è il rischio che Valeria Rossi faccia causa per plagio.
Christian Rocca
SE VI PIACCIONO I COLDPLAY
Nick Drake Five Leaves Left (Island Records)
Questo o qualsiasi altro disco di Nick Drake vi stupirà. Siamo negli anni Settanta, e al giovane Drake rimane poco da vivere. Inspiegabilmente Drake non è entrato nel mito, ma tutti i cantanti e i gruppi di qualità dei successivi trenta anni gli devono qualcosa. Capolavoro assoluto. I Coldplay lo omaggiano con God Put a Smile Upon your Face, che pare scritta da Nick in persona.
Wilco Yankee Hotel Foxtrot (Nonesuch)
Sono americani, e gli americani bravi Rem a parte suonano una musica che si chiama alt-country, country alternativo. Tranquilli, di country hanno poco, e gli ultimi Wilco addirittura pochissimo, se non una certa predisposizione per ii suoni acustici e semplici. Fidatevi, se l’America regge il passo della British invasion, lo deve agli alternative countrymen. I Wilco, che in questi giorni spopolano anche grazie a un film, sono tra i migliori.