Caro Christian, il mio primo concerto di Peter Gabriel fu a Firenze, vai a sapere quando. Il secondo, a Prato, il 6 luglio del 1983. Me lo ricordo perché ero stato appena interrogato agli esami di maturità, dopo aver mediocremente superato lo scritto di italiano con la traccia "Dica il candidato cosa significa oggi essere cittadini del proprio tempo". Poi uno dice la crisi della scuola. Vabbè, almeno nel compito di matematica avevamo calcolato l’area di un esagono inscritto in una circonferenza, non sapendo niente nè dell’uno né dell’altra. O forse era il contrario? Insomma, oggi che ricorrono esattamente diciannove anni e due mesi e diciassette giorni tondi da quel giorno fatale (occhio, che ti racconto anche del mio primo concerto dei Rolling Stones, il giorno che vincemmo i mondiali), esce il cd nuovo di Peter Gabriel. So già che sarà bellissimo. Non è vero, non sono più così sicuro: ma voglio crederlo, dopo quell’Ovo un po’ sottotono di tre anni fa e il matrimonio celebrato in un albergo sardo. Anch’io, peraltro, in questi diciannove anni sono piuttosto rincoglionito.
Caro Luca, il mio primo Peter Gabriel è stato a Londra, allo stadio del Crystal Palace, dove qualche anno dopo andò a giocare quello splendido calciatore che era Attilio-Lombardo-pelato-bastardo. Ti dirò di più. Il 10 giugno del 1987 non ho avuto dubbi. Quella sera, a Milano, suonarono contemporaneamente David Bowie (a San Siro) e Peter Gabriel (al Palatrussardi). Scelsi Peter, ovviamente. Così come ho sempre preferito Lombardo a Di Livio per la fascia destra. Stai sereno, il disco è bellissimo nonostante la colonna sonora uscita il mese scorso sia abbastanza inutile. Io comunque a Peter perdono tutto, tranne la scelta del testimone di nozze. Si è preso Phil Collins, ti rendi conto? La Yoko Ono dei Genesis, la persona che ha distrutto la mia band preferita. Come se Lombardo fosse andato a giocare per Moratti. Ricordati: diffidare dei batteristi che si cimentano con la leadership, oltre che degli juventini che passano all’Inter. Anche la Pfm ha fatto la stessa fine, passando dai Live in Usa dei tempi di Mauro Pagani, ai playback a San Remo quando s’è affidata a Franz Di Cioccio. Per non parlare di Marcello Lippi.
Caro Christian, ma va’? Marcello Lippi è batterista? Le cose che imparo, da te. Quanto alla mia band preferita, venne distrutta proprio da Peter Gabriel, che se ne andò. Quindi lascia in pace quel brav’uomo di Phil Collins che si fece carico di tirare avanti onestamente pur non avendo il fisico: non mi risulta che Yoko Ono suonasse in Abbey Road, mentre la batteria di The lamb lies down on broadway non la pestavi nè tu né Yoko Ono, ma il solito testimone di nozze. A novembre esce anche il suo cd, che è meglio della maggior parte del pop che circola: "Wake up call", la prima canzone, mi piace già (ha qualcosa con i telefoni, il brav’uomo: da "No reply at all" a "Billie, don’t lose my number"). C’è pure un pezzo con i cori africani, una ventina d’anni dopo Peter Gabriel. E poi è uno discreto, che si fa i fatti suoi, e non va in giro a dire che questa rubrica è rovinata da Christian Rocca (e pure ne avrebbe ragione). Ti saluto: adesso è l’una ed è ora di pranzo, bum dee dum dee dum dum.
Caro Luca, non riesco a scrivere un’altra volta il nome del batterista calvo. Anche le iniziali fanno schifo, sai io uso il Mac, detesto il Politicamente Corretto e qualsiasi tipo di Partito Comunista. Ma un’altra cosa te la devo dire. Il bassetto è quello che ha rovinato l’Album Perfetto, cioè Selling England, con una canzoncina che crudelmente Peter gli lasciò cantare, "More fool me", cioè "quanto sono scemo". Che fosse lui il "Fool on the Hill" dei Beatles? Rilassati, comunque. Specie ora che sei un divo della tv, e hai responsabilità istituzionali. Sto già aspettando la tua prima intervista a TvSette, e vedere come te la cavi con le domande di Marzullo. Ma siccome la vita è un sogno, e io sono buono, ti svelo una cosa incredibile: se vai in Sicilia, devi andare a Balestrate. C’è un bar che fa per te. Si chiama Barry White ed è monotematico, mette soltanto musica di Barry White. Credo possa nascere una moda, come con il Buddha Bar di Parigi. "Ma seriamente". "Anche perché non è richiesta la giacca". "E’ tutto". "Ciao, devo proprio andare".
Caro Christian, ti capisco, anch’io da giovane avevo questa fase di ribellismo contro i padri fondatori della nostra cultura. Poi passa. Nel frattempo ti interesserà invece sapere che a fine ottobre esce il nuovo cd dei Sigur Ros, che andammo a vedere insieme l’anno scorso (io e te, manco una ragazza, che sfigati): non solo il cd non ha titolo, ma non hanno titolo nemmeno le canzoni: con le dediche alla radio sarà una faticaccia. E così, di fesseria in fesseria, non ho più spazio per dirti della mia nuova passione, il "turbine spotting". E poi è ora di cena, la minestra ti sta aspettando.
Caro Luca, anche a me piacciono le cose profondamente inutili. Pensa che una volta mi sono commosso per un libro di Alessandro Baricco. Poi Pietro Citati, su Repubblica, mi ha aperto gli occhi con una recensione-stroncatura che cominciava così: "Il mattino in cui scrisse Seta". Ti consiglio invece un bel libro di un venticinquenne newyorchese. Si chiama Jonathan Safran Foer, e fa già il fenomeno. Il libro è "Ogni cosa è illuminata", storia di un ragazzo che va in Ucraina per ricostruire la storia della sua famiglia. Io ho commesso l’errore di leggerlo in inglese (ora è uscito in italiano, da Guanda). Ma è stata un’esperienza utile. Il protagonista, in Ucraina, incontra un coetaneo che parla un inglese così intorcigliato che sembro io. Gli americani si sono molto divertiti. Alla fine ogni cosa si è illuminata anche per me, specie tutti quei sorrisetti che mi facevano.