Camillo di Christian RoccaRedazionalmente Corretto del 22 ottobre 2002

La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri 21 ottobre (XXI giorno
della Nuova Era Riformista), si apriva con i 13 anni di carcere
chiesti dalla procura di Milano contro Cesare Previti. Due articoli
commentano la notizia. Uno è di Giuseppe D’Avanzo (Dav.),
solitamente molto più tenero con la procura. Scrive Dav.
che "il processo milanese è un processo indiziario.
Non c’è la pistola fumante. Non c’è il reo che
confessa". E, ancora: "Indizio è vocabolo sempre
equivoco perché designa conclusioni più o meno
probabili su qualcosa. I codici invitano i giudici a diffidarne.
Anzi, impongono loro di non tenere conto degli indizi perché
l’esistenza d’un fatto non può essere desunta da indizi,
a meno che non siano gravi, precisi concordanti". Dav. è
convinto che Previti sia colpevole, ma riconosce che la procura
non è riuscita a provarlo fino in fondo. Un buon segno,
specie perché scritto su un giornale di proprietà
di chi si è costituito parte civile.
La legge Cirami è argomento attinente il processo Previti,
come è noto. In ossequio alla nuova linea più conciliante,
Rep. ha affidato il compito di raccontare la battaglia parlamentare
a Liana Milella. La caratterististica della prosa milelliana
è l’incomprensibilità interiore, a meno che il
lettore di professione faccia il cancelliere di pretura. Eccone
un esempio: "La loro istanza di rimessione si è trasformata
in un caso di Alta corte quando la Cassazione ha sollevato il
conflitto chiedendo se l’attuale normativa (che il Parlamento
sta per modificare) sia adeguata pur non prevedendo il legittimo
sospetto nel codice di procedura tra i motivi per spostare un
processo". Vi sembra confuso? Leggete questo: "Caruso
spiegava che maggioranza e opposizione avrebbero stipulato una
sorta di accordo per ‘accantonare gli emendamenti sensibili’.
Si andrebbe così a trattare in modo leggero le proposte
di modifica non rilevanti e a discutere invece su quelle rilevanti,
approvandole se la maggioranza è per il sì, o accantonandole
se la Cdl non ha deciso". Con questa scelta, pare che Rep.
abbia deciso: della Cirami non frega più niente.
Anche il professor Franco Cordero interviene sul tema, e conferma
il nuovo atteggiamento di Rep. L’attacco dell’articolo è
strepitoso: "Sotto queste lune circolano piccoli mostri.
Ne sta nascendo uno e avrà vita corta, tanto invalido
appare. L’idea viene dall’insonne cervello giuridico d’Arcore:
la inseminano vari fattucchieri; due Camere prestano l’utero;
ed ecco i nuovi artt. 45, 47, 48, 49 c.p.p.". Più
in là, il prof. spiega l’illegittimità costituzionale
della legge e come il legittimo sospetto sia una "ipotesi
autonoma: concetto vago, anzi un non concetto". Geniale.
Un po’ meno quando scrive che secondo l’articolo "25 Cost.,
c. 1 nessuno può essere distolto dal giudice naturale
precostituito per legge" perché nell’ipotesi di corruzione
di magistrati romani "il giudice naturale" sta a Perugia
e non a Milano. Ma la novità clamorosa, ammesso che Red.
Corr. abbia capito, sta nelle righe finali dell’articolo, dove
Cordero dottamente spiega alla Milella che l’errore contenuto
nella legge Cirami non ha bisogno di essere corretto al Senato,
e quindi non è necessario tornare alla Camera: "Non
perdano il sonno. La cosiddetta mens legis risulta chiara dal
seguito. Al posto del Sire d’Arcore, però, ordinerei che
la Camera alta voti l’aureo ddl qual è, lapsus incluso,
perché ogni ritocco sarebbe emendamento".
La questione della giustizia italiana è affrontata da
Mario Pirani, il quale stranamente difende i magistrati del caso
Marta Russo. Secondo Pirani è in corso una campagna politica
del Polo che così "strumentalizza un fatto di cronaca
nera come pretesto per delegittimare la magistratura". Mmh.
Al solitamente attento Pirani sono sfuggite un paio di cose:
1) con l’eccezione di un’inchiesta di un piccolo quotidiano d’opinione,
il principale accusatore di quei magistrati è Giovanni
Valentini, giornalista di Rep.; 2) quei magistrati sono così
a corto di argomenti che venerdì hanno sostenuto l’imbarazzante
tesi che il diavolo si fosse impadronito della pistola e che
il maligno avesse fatto fuoco sulla povera Marta Russo. Il Cav.
è un diavolaccio, ma da qui a dire che criticando un’inchiesta
imbarazzante si fa un favore al Berlusca è un po’ forte.
Red. Corr., tempo fa, aveva segnalato le difficoltà di
Carlo Bonini (Bon.) con le prenotazioni aeree, ieri Bon. si è
riscattato mettendosi a "caccia" della "nave del
terrore". L’articolo è molto buono, solo un po’ lungo
(2 pagine). A Rep. se ne sono accorti, tanto che gli hanno impaginato
una pubblicità che dice: "Diamoci un taglio".

Vittorio Zucconi (Zuc.) continua a stupire con i suoi effetti
speciali. La storia del cecchino che terrorizza la gente comune
di Washington, "il serbatoio della ordinaria paura alla
quale lui sa attingere", è la notizia americana di
questi giorni e a Zuc. va dato il merito di essersene accorto
per primo. Da 15 giorni, infatti, non va più al ristorante,
non porta il cane ai giardinetti, non fa più il pieno.
La cronaca dell’ultima giornata è romanzesca: "Erano
le otto di sera, già buio in una sera piovigginosa, la
luce scarsa nel parcheggio dove soltanto il riverbero dell’insegna
al neon, Ponderosa, dava qualche fosforescenza alla coppia che
usciva dopo cena. La moglie ha pensato a un malessere, a una
bistecca rimasta sullo stomaco, quando ha visto il marito, un
uomo di 32 anni, piegarsi in due e poi rotolare sull’asfalto
tenendosi la pancia". Magnifico. Ieri la polizia ha arrestato
il killer, e Zuc. finalmente potrà mangiarsi una bistecca
al ristorante.
Peppino Turani (Tur.) è molto attivo, si direbbe che scrive
"a banda larga", sia per i giudizi interessanti sul
business di E.Biscom sia per il metraggio dei suoi pezzi. Ieri
la sua firma compare 4 volte nella prima di Affari & Finanza,
2 volte in seconda, 1 volta in terza, 1 volta in quarta (rubrica),
1 volta in settima (intervista) e c’è una Turani-story
anche in dodicesima. Un campione della razza faticona, si riguardi.
(continua)

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