La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 4 ottobre, era dedicata
alla "crisi dell’Ulivo" scoppiata dopo il "via
libera delle Camere agli alpini" e alle divisioni nel centrosinistra
che ha presentato "4 mozioni". Le mozioni in realtà
erano 5 ma sono dettagli di fronte al radicale cambio di linea
politica di Rep., anticipato già ieri da Redazionalmente
Corretto (Red. Corr.). L’editoriale di Ezio Mauro è un
manifesto della Repubblica che verrà: poco, pochissimo
MicroMega e molto, moltissimo Riformista (ma senza D’Alema, dunque
è Foglio), fine dell’antiamericanismo ed elmetto in testa.
Mauro è impietoso con l’Ulivo, e non solo con quello odierno.
L’analisi parte dai tempi del governo, che fu "sterile"
e che non produsse "nulla: né una vera coalizione,
né una leadership riconoscibile e riconosciuta, nemmeno
una cultura di governo moderna". Ora, invece, è "diviso,
disarticolato, senza una politica estera, dunque senza una politica,
una cultura e una morale comune". Il direttore insiste:
"E’ scandaloso che in tutti questi anni l’Ulivo non abbia
ancora elaborato una cultura comune condivisa, una sua specifica
identità civica e repubblicana (). E’ scandaloso, in buona
sostanza che l’Ulivo non abbia ancora elaborato una nozione compiuta
e risolta di sé: che non sappia che cos’è, che
cosa vuole e deve essere". Il sospetto che un aiutino l’abbia
dato proprio Rep., con tutto il morettismo, il concitismo, il
girotondismo e l’antiamericanismo degli ultimi mesi, al direttore
non viene mai. Sulla possibile guerra con l’Iraq, Mauro scrive
che contro il terrorismo serve la "prevenzione" e da
neofogliante domanda se "difendersi vuol dire soltanto re-agire?
Aspettare un altro primo colpo?".
Sono state giornate convulse, e non tutti sono stati avvertiti
del contrordine. Nessuno ha detto niente a Daniela Hamaui. La
copertina dell’Espresso di ieri aveva una foto di Bush e del
suo staff (un’immagine di un anno e mezzo fa) e un titolo non
in linea con le nuove disposizioni: "I padroni della guerra".
Anche Giorgio Bocca non è stato avvertito, la sua rubrica
critica duramente ogni ipotesi di guerra preventiva. A Rep. sono
più svegli: Goffredo De Marchis e Silvio Buzzanca, i meno
esposti nella precedente gestione, sfottono gli ulivisti in Parlamento.
Massimo Giannini, invece, intervista Massimo D’Alema come non
ha fatto neanche Antonello Caporale con Max e Tux. Le sue domande,
inimmaginabili fino a tre giorni fa, sono: "Come fa a non
sentirsi a disagio?"; "Non è un disimpegno?
e cos’altro è?"; "Non avete saputo resistere
alle sirene dell’antiamericanismo"; "Il Polo qualche
voto bipartisan ve lo ha dato"; "L’Ulivo si è
appena sfasciato in mille pezzi"; "Uno spettacolo penoso";
"Il risultato è disastroso. L’Ulivo è morto,
ne conviene?"; "Intanto Berlusconi ringrazia";
"Bravi, missione compiuta. L’Ulivo è finito per sempre?";
"Quindi lei sta decretando l’avvenuto decesso dell’alleanza?";
"Lei ci crede ancora, con questi chiari di luna?";
"Siete alla guerra fratricida?"; "Abbiamo parlato
del dramma dell’Ulivo, ma i Ds stanno peggio".
Anche Concita De Gregorio, l’aeda dei girotondi, s’è adeguata.
E giù botte da orbi con un bell’incipit: "Con la
più rapida azione di guerra di cui l’uomo abbia memoria
mille alpini hanno sgominato ieri la coalizione parlamentare
detta dell’Ulivo". Il segretario del primo partito della
sinistra è definito "uno dei leader tra costoro,
Piero Fassino, di provenienza Ds".
Sebastiano Messina non è stato avvertito, sennò
non avrebbe bacchettato con violenza il forzista Renato Schifani
per aver dipinto l’Ulivo con le stesse identiche parole usate
dal direttore di Rep. Finanche Liana Milella si è riposizionata,
ieri il titolo del suo articolo era inequivocabile: "Carceri,
la colpa è dell’Ulivo". Le pagine di Esteri, ovvio,
sono diventate d’un tratto filoamericane (bello l’articolo di
Marco Ansaldo sugli oppositori iracheni), ora vedremo se a Baghdad
Pietro Veronese potrà liberarsi di Guido Locaputo, il
"poeta visionario" nonché "amico di un
amico di Saddam".
Sandro Viola smonta la tesi di Michele Serra sulla diversità
antropologica tra destra e sinistra. C’è sempre stata,
scrive. I giornali "fanno pochissimo per indurre nei loro
lettori il rispetto degli altri". Ma Viola non fa moltissimo,
visto che da una parte mette quelli che "leggono più
giornali e libri, vanno più al cinema, sono capaci di
discutere d’altri argomenti che non il calcio e le automobili
o le villette a schiera" e dall’altra "gli italiani
culturalmente meno ammodernati, con un’ottica più grigia
e angusta". Anche qui urge contrordine. (continua)
5 Ottobre 2002