La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 9 dicembre, LXIX Giorno
della Nuova Era Riformista, si apriva con l’auto accusa di Baghdad:
"L’Iraq era vicino all’atomica". Nel 1991, ha detto
un funzionario di Saddam, l’Iraq è stato a un passo dall’ottenere
la bomba atomica: "Non si è arrivati però
all’assemblaggio finale o al test della bomba". Rep. non
si chiede se lo stop sia da collegare, per caso, alla guerra
che Bush padre, proprio nel 1991, scatenò contro il rais.
Rep. però schiera un Vittorio-Gatto-Copione-Zucconi (Zuccopycat)
con l’elmetto: "Se il rais iracheno ha prodotto un tale
pachiderma di carte e Cd-Rom (da tradurre) è soltanto
perché spera di rinviare i tempi dell’esecuzione, sperando
in una telefonata di grazia che non arriverà". Poi,
diritti al solito finale pirotecnico: "E l’esecuzione avverrà,
nel rispetto meticoloso della procedura, con il batuffolo di
alcol strofinato per disinfettare il morto". Bellissimo.
E "l’Apocalisse sulla Mesopotamia" è finalmente
dietro l’angolo.
Ma non è questo l’argomento principale trattato da Rep.
sia ieri sia nel weekend con una decina di articoli mielosi.
E’ la Democrazia Cristiana, bellezza. E’ Pier Ferdinando Casini,
la nuova speranza. A Rep. sono contenti come Pasque che sia tornata
la Dc. Che meraviglia, quanto sono bravi, moderati, seri e statisti
i democristiani. Colti anche. Casini, poi. E Bruno Tabacci, madonna-quanto-è-bravo-Bruno-Tabacci.
Rep. e forse ancor di più il Corriere della Sera, insieme
insomma, sono pazzi di gioia, felici di poter rinascere democristiani.
Non si uccidono così anche i Cav.?
E siccome si stava meglio quando si stava peggio, Concita De
Gregorio (Conc.) è, come sempre, la più entusiasta.
Il suo articolo comincia con diciotto righe incomprensibili agli
umani: "Finalmente qualcosa di cui parlare. Se la ‘Cantatrice
calva’ sia meglio dell’Opera da tre soldi, se il grande bibliotecario
cieco di Buenos Aires abbia da dire più di Gabo, se Sartre
abbia davvero avuto torto con Camus nella disputa sulla libertà
ed eventualmente, in subordine, anche in quella con Simone sull’amore
quando le diceva ‘ci sono amori necessari e altri contingenti’.
Se lo avesse avuto torto rinunciare all’idea di ‘amore
necessario’ sarebbe in effetti piuttosto doloroso per molti".
Due righe dopo si scopre che Conc. parla di Marco Follini, neo
segretario Udc, raccontato come neanche la Madonna di Medjugorje
da Antonio Socci: "Tra Borges, Moro e Napoleone venne il
grande giorno di Marco", è il titolo. Scrive Conc.
che "sotto la maschera del mite Follini, dietro ai suoi
occhi ingigantiti dagli occhiali" si nasconde "un drago
dell’affabulazione colta acuta e cortese". Follini il drago,
che anche noi al Foglio amiamo alla follia, è, secondo
Conc., uno che "non va in vacanza alle Bermude ma predilige
Sofia, Bulgaria, e che lì racconta di aver passato il
Natale più bello della vita in compagnia di una bambina",
(notizia invero compromettente). Comunque, per Conc., Follini
è "sorridente", "ha chiuso il Congresso
con un abbecedario di riferimenti letterari, storici e perfino
sentimentali da manuale".
Barbara Jerkov, altra inviata di Rep., non è meno appassionata
di Conc. e ci fa sapere che la relazione dell’amico Follini "non
delude le aspettative, parlando chiaro, usando toni moderati
ma intransigenti, perfino duro nella sostanza". Scusate:
"moderato" o "intransigente & duro"?
Boh.
Continua Jerkov: "Eppure non c’è traccia di nostalgia
nel discorso di Follini. Rispetto sì, tanto, insieme all’orgoglio
della migliore tradizione democristiana". Scusate: "No
nostalgia" o "sì orgoglio della tradizione democristiana"?.
E sebbene su Conc. sventoli Balena Bianca, tranquilli, si tratta
comunque di strategia riformista. (continua)
10 Dicembre 2002