La
prima pagina di Repubblica (Rep.) del 24 dicembre, XII Giorno
della Nuova Era Riformista, Automobilista, Libera & Giusta,
si apriva con la notizia che "arriva il decreto tappabuchi".
Rep. continua nella sua feroce campagna contro la Finanziaria.
Così come nei giorni precedenti, Rep. preferisce commentare
anziché informare sul contenuto della manovra e del "decreto
tappabuchi". La Finanziaria del Cav. non riforma alcunché
e non interviene dove avrebbe dovuto, ma forse andava fatto notare
che riduce le tasse per i redditi più bassi e, parole
di Rep., prevede "stangate" per quei ricconi dei petrolieri
e dei banchieri. Insomma, una volta che il Cav. non pensa solo
a iddu, a Rep. non gliene importa niente.
I due editoriali più importanti della vigilia di Natale
sono stati affidati a Curzio Maltese (Curzioglia) e Federico
Rampini (Ram.). Curzioglia commenta la parolaccia scappata a
Gianfranco Fini alla Camera dei deputati. Il vicepremier ha dato
dei "coglioni" ai deputati dell’opposizione. Curzioglia
ha alzato il sopracciglio e vergato "Fare politica a colpi
di insulti". In poche righe Curzioglia è riuscito
a prendere un paio di cantonate così grosse da ribaltare
il senso logico del suo editoriale. "E’ facile immaginare
– scrive Curzioglia – quale scandalo sarebbe esploso se a pronunciare
la pazzesca offesa fosse stato un vicepremier di centrosinistra
nei cinque anni dell’Ulivo o anche un democristiano o un socialista
nei quaranta della Prima repubblica". Vero, verissimo, sarebbe
successo un putiferio. E cosa avrebbe fatto uno statista di centrosinistra,
se colto in fallo? Raccontalo tu, Curzioglia: "Senz’altro
si sarebbe scusato e dimesso, a furor di popolo e di mass media.
Come sarebbe del resto ovvio in qualsiasi democrazia della terra".
Ovvio, ovvissimo. Eppure non fu così ai bei tempi dell’Ulivo.
Romano Prodi, che non era vicepremier ma premier, disse in Aula
"vaffanculo" a un senatore di Forza Italia e non si
dimise, né si scusò. Anche a un altro premier di
centrosinistra, Lamberto Dini, scappò una parolaccia:
"E basta, cazzo", disse all’opposizione che giustappunto
si opponeva. Dini non si dimise, né si scusò. E
se Fini ha chiesto scusa, Curzioglia difficilmente lo farà
con i suoi lettori, i quali però ricorderanno che finora
l’unico che si sia dimesso per aver ingiuriato una persona è
stato Claudio Scajola, ministro dell’Interno del Cav.
Scrive autobiograficamente Curzioglia: "Ora, come osserva
Schopenauer, quando non si hanno argomenti validi per difendersi
resta soltanto l’arte dell’insulto". E dopo Schopenauer,
ad adiunvandum, ecco Aldo Biscardi: "Quando il bar sport
non basta più, si passa alla curva, al ‘devi morire’ all’avversario
e alle minacce all’arbitro. Poi, in genere, si retrocede lo stesso".
E infatti Curzioglia non lo hanno certo mandato a dirigere l’Espresso.
Ram., invece, interviene sulla crisi Fiat: "Un’altra mazzata
contro il Lingotto". Moody’s ha declassato i titoli Fiat
a junk bonds, obbligazioni spazzatura, praticamente non valgono
più niente. Ram. spiega perché questa decisione
sarà devastante per il futuro della Fiat e dice che ora
l’azienda è in mano alle banche. Rep., lo ricorderete,
con la sua campagna ottimamente orchestrata fu fondamentale per
bloccare il tentativo di Mediobanca (e del Cav.) di mettere le
mani sulla Fiat. Ne scrisse di tutti i colori: che il Corriere
sarebbe diventato azzurro, che Mediobanca avrebbe venduto i gioielli
di famiglia e che l’idea del "polo del lusso" era una
cafonata del Cav. Vinse Rep. e vinsero le banche, secondo Rep.
le più adatte a gestire la crisi. Ora l’editoriale di
Ram. ribalta tutto: "I veri padroni della Fiat sono le banche.
Ma i banchieri non sono industriali, cercano solo di limitare
i danni e recuperare almeno in parte i loro crediti. Prima o
poi rispunterà l’idea di uno ‘spezzatino’, illusoria perché
di bocconi appetibili per il palato di un acquirente straniero
ne restano pochi: Ferrari-Maserati e Alfa. Per il resto della
Fiat Auto da ieri il destino è diventato ancora più
precario". Insomma è come aver dato dei "coglioni"
a Mediobanca e al Cav. Senza poi scusarsi con i lettori, né
dimettersi. (continua)
27 Dicembre 2002