Camillo di Christian RoccaI NUOVI IDEALISTI SONO I CONSERVATORI

I nuovi idealisti sono i conservatori. Sembrerà paradossale ma quelli che oggi lottano per la democrazia e la libertà non stanno più a sinistra, si trovano a destra. Così come si trovano a destra coloro che vogliono abbattere le dittature e i regimi teocratici, anche a costo di usare la forza militare. "Regime change" è la parola d’ordine più in voga nella Washington di George W. Bush. I nuovi idealisti sono gli stessi che fino a poco tempo fa tutti accusavano di essere realisti. Un tempo erano spregiudicati, affaristici e spietati, mentre ora hanno un obiettivo rivoluzionario: portare la democrazia nel mondo. Solo in questo modo, spiegano i neo conservatori americani, eviteremo i grandi conflitti (e continueremo a fare affari). Sono i valori della libertà e il rispetto dei diritti civili la migliore garanzia per un mondo che voglia vivere in pace.
Circostanza che sfugge alla sinistra occidentale, giunta ormai a condividere le stesse idee un tempo care alla destra. Cos’è rimasto di quella sinistra che sosteneva l’inderogabile responsabilità morale di difendere l’umanità dai dittatori? Sparita. A sinistra sono pochi quelli che credono in una rivoluzione democratica in Medio Oriente, e ancora meno sono quelli che pensano sia compito degli Stati Uniti esportarla. Protestano contro la guerra, quando dovrebbero manifestare perché Bush e Blair si impegnino a fondo per un Iraq democratico e liberale.
Se n’è accorto un fine intellettuale di sinistra come Ian Buruma, il quale ha scritto un articolo sul Guardian, la bibbia del leftism britannico. Buruma aveva partecipato a un convegno dell’American Enterprise Institute di Washington, uno dei think tank conservatori più ascoltati dall’Amministrazione Bush. Gli è sembrato chiaro che fossero proprio loro, i conservatori, a propagandare la fiducia nella rivoluzione democratica. Spiega Buruma che dopo l’undici settembre si è ribaltata la storica divisione tra idealisti e realisti che si era venuta a creare alla fine della Seconda guerra mondiale. Allora c’era il problema di ricostruire il Giappone. I realisti erano i Repubblicani di destra, coloro che non chiedevano di meglio che mantenere un regime autoritario. Dicevano che sarebbe stato perfetto per gli interessi americani. Gli idealisti, dall’altra parte, erano i Democratici del New Deal, i quali incoraggiavano i giapponesi a instaurare una democrazia di tipo americano. Ora le vecchie categorie non valgono più. La sinistra fa finta di non vedere che in questi anni gli interventi militari sono serviti per liberare i popoli da persecuzioni, stragi e fosse comuni.
Qualcosa però si muove. Non c’è solo Christopher Hitchens a tuonare contro il grande errore che sta commettendo la sinistra. Anche Salman Rushdie è favorevole a un’azione anti Saddam che sia una guerra di liberazione del popolo iracheno. L’altro ieri uno degli editoriali dell’Observer, l’edizione domenicale del Guardian, diceva la stessa cosa: gli iracheni non ne possono più del loro brutale dittatore. E a quella parte di sinistra timorosa che dopo la guerra possa arrivare un altro dittatore, l’Observer spiega che l’esempio turco dimostra due cose: 1) che instaurare la democrazia in Medio Oriente è molto difficile; 2) che è possibile. Così come fu possibile nel secondo Dopoguerra, sia in Giappone sia in Germania, dove con l’eccezione del fiasco di Weimar di democrazia ne sapevano poco.
I nuovi idealisti sono in guerra contro le forze della reazione, contro le dittature che ci minacciano (nel pronome "ci" si trova la componente "realista" dei nuovi idealisti). Un tempo questa era una battaglia di sinistra, difatti se ne trova conferma nella nostra vecchia Costituzione. Proprio in quel tanto citato (a sproposito) articolo 11 della Costituzione. Dice che "l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli". Le dittature offendono la libertà dei popoli, ontologicamente. Cosicché fare una guerra a una dittatura significa difendere la libertà di un popolo.

X