La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 6 gennaio, Giorno
VI della Nuova Era Forte, Libera & Giusta, si apriva con
"il massacro di Tel Aviv". Al solito la cronaca e i
commenti di Rep. sono di parte (la parola "palestinese"
non compare mai nei titoli di prima, seconda e terza pagina).
L’editoriale è di Sandro Viola, gran commentatore che
qualche mese fa tentò di cambiare la linea di Rep. Ieri
però il suo articolo era titolato "il silenzio dell’Occidente".
"Il silenzio dell’Occidente" non è, come uno
immagina di fronte a 23 civili massacrati da kamikaze palestinesi,
quello contro il terrorismo. No. Secondo Viola, "il silenzio
dell’Occidente" è quello sul "pauroso vicolo
cieco in cui è stata spinta la società israeliana
dai suoi governanti". Cornuti e mazziati. A pagina tre,
un piccolo box annuncia che Gretta Duisenberg, moglie del presidente
della Banca centrale europea, andrà da Arafat per "riconfermare
il suo impegno di militanza filo-palestinese". Quello che
Rep. non sa è che la signora Duisenberg, in giro per l’Europa
gode di scarsa considerazione. A ottobre fu intervistata da una
radio per spiegare la sua campagna di raccolta firme contro l’occupazione
israeliana. E quando il giornalista le chiese quante firme pensava
di raccogliere, lei, ridacchiando, rispose con una battutaccia
antisemita: "Oh, forse 6 milioni".
Alla fine, il migliore è Magdi Allam. L’islamologo di
Rep. spiega al suo giornale che i kamikaze non uccidono per disperazione
o rivendicazioni territoriali. "Il movente è il conflitto
interno ai gruppi terroristici che si contendono la leadership
del movimento palestinese". Di più. Allam fa capire
ai suoi che disarcionare Saddam potrebbe contribuire a risolvere
la questione israelo-palestinese: "E a soffiare sul fuoco
ci pensa Saddam che ha appena alimentato la fabbrica del terrorismo
suicida donando 500 mila dollari alle famiglie dei ‘martiri’
palestinesi". Conclude Allam: "La vera posto in gioco
è il potere in campo palestinese". Bravo.
In prima pagina comincia una sterminata inchiesta di Carlo Bonini
(Bon.) e Giuseppe D’Avanzo (Davanpour), di nuovo insieme, finalmente.
Sono due pagine fitte fitte che si concludono con un "1/
continua". L’incipit non è fulminante: "Alimjan
è un nome e Tokhtakhounov un cognome troppo complicati
per tenerli a mente. Allora chiameremo Tokhtakhounov come lo
chiamano i suoi compari di basso e altissimo rango in Russia
e nelle giovani repubbliche degli Urali o come gli uomini d’affari
e le belle donne (dài, diteci come cavolo lo volete chiamare
e andiamo avanti, nota di red.corr.) a Parigi, Montecarlo, Città
del Capo, New York, Gerusalemme. Taiwanchik, chiamano Alimjan
Tokhtakhounov in giro per il mondo. (E Taiwanchik sarebbe facile?,
ndredcorr). Più o meno, ‘il Cinesino’, per via di quegli
occhi a mandorla che hanno quelli che sono nati in Uzbekistan".
Ora, a parte che gli occhi a mandorla ci sono anche in Pirelli,
ci volete dire chi diavolo è questo qui cui dedicate tredici
colonne? C’è da andare a pagina 10: "Per dirla in
modo spiccio, il Cinesino è in grado di spiegare fino
a dove si è già spinto in Italia, o presto vuole
spingersi, il neo capitalismo russo di marca mafiosa, con quali
capitali, attraverso quali canali, complicità e affari".
Oh, finalmente. E quali sono questi "canali" queste
"complicità", questi "affari"? "A
riguardo, dicono i mafiosi russi, che cosa c’è di meglio
in Europa dell’amicizia tra Vladimir Putin e il nostro presidente
Silvio Berlusconi?". Ok, passiamo ad altro. Al caso Fiat.
Intanto c’è da dire che Rep. non ha più gli scoop
di qualche settimana fa perché Enrico Romagna-Manoja,
molto bravo, se ne è andato a dirigere Milano Finanza.
Ma domenica è intervenuto Eugenio Scalfari, per bacchettare
il piano di Roberto Colaninno, il grande avversario del patron
Carlo De Benedetti. Nello stesso giorno gli altri giornali riportavano
una presa di posizione di Libertà & Giustizia, l’associazione
di De Benedetti, decisamente favorevole all’ingresso di Colaninno.
Pro o contro? Contro, contrissimo. Ricostruiamo: sabato sul sito
di Libertà & Giustizia è comparso un articolo
molto favorevole a Colaninno scritto da Claudio Rinaldi, non
uno qualunque dunque ma un gran giornalista del gruppo Espresso-Rep.
Ieri, con una nota alle agenzie, Libertà & Giustizia
ha smentito di essere favorevole al finanziere mantovano: "I
garanti e il consiglio di presidenza ribadiscono che tale opinione
non è in nessun modo attribuibile all’associazione, la
quale non intende esprimere posizioni ufficiali attraverso analisi
affrettate e discutibili". L’articolo "affrettato e
discutibile" del kulako Rinaldi è ancora sul sito,
ma sono state aggiunte due righe: "Claudio Rinaldi è
socio benemerito di Libertà & Giustizia. Questa nota
non costituisce la posizione ufficiale dell’Associazione ma un
contributo al dibattito". Non solo. D’ora in avanti
si legge nel comunicato stampa "la gestione della
pagina del sito dedicata ai commenti verrà curata dalla
sede centrale dell’associazione sotto la responsabilità
diretta del consiglio di presidenza in accordo con i garanti".
Notare l’uso delle parole: "Gestione curata dalla sede centrale";
"sotto la responsabilità diretta del consiglio di
presidenza"; "in accordo con i garanti". Più
Stalin, che società civile. Evviva il riformismo e la
libertà & la giustizia. (E anche la Forza, ovvio).
(continua)
7 Gennaio 2003