Oggi il quarantesimo presidente degli Stati Uniti compie 92 anni. Ma Ronald Reagan non può festeggiare. E’ gravemente malato di Alzheimer, e i segnali che manda sua moglie Nancy fanno capire che Gipper, (era questo il suo soprannome ai tempi di Hollywood), sta per lasciarci. Potrà sembrare cinico, e non lo è, ma il mondo politico, giornalistico ed editoriale americano s’è preparato bene per quel momento. Succede spesso, è normale. Ma nel caso di Reagan, appena definito da Esquire "il più grande americano vivente", il numero di tributi, libri, iniziative, ricordi e omaggi già pronti è davvero incredibile. Si sono mobilitati i conservatori, ovviamente. Ma la notizia è un’altra. Reagan ora piace anche ai liberal. Di più. C’è chi sostiene che Reagan abbia governato "da sinistra". Non solo: che abbia lasciato anche un’importante eredità liberal al suo paese. Capita così che, negli stessi giorni, il New York Times elogi George Bush quale diretto successore di Reagan, e il Washington Monthly, un mensile ultra liberal, spieghi che Reagan ha detto molte cose di destra, facendone però parecchie di sinistra.
L’Heritage Foundation, pensatoio conservatore, ha promosso un Reagan legacy project che si propone di dedicare a Gipper un importante monumento in ogni singolo Stato dell’Unione, oltre che strade ed edifici pubblici in tutte le 3067 contee del paese. Si parla anche di sostituire la faccia di Alexander Hamilton dalla banconota da dieci dollari. Le tv sono scatenate, History Channel ha già trasmesso il suo corposo documentario. Poi ci sono i libri. Su Amazon, il più importante libraio su Internet, i libri dedicati a Reagan sono 1010. Quelli nuovi sono una dozzina, scritti da suoi ex consiglieri e analisti dei grandi think tank.
Ma, certo, la cosa più interessante è la rilettura liberal dei suoi due mandati presidenziali. Su difesa, ambiente e politica economica, Reagan è stato uno dei presidenti più conservatori della storia d’America. Ma va fatta una distinzione tra l’ideologo della rivoluzione conservatrice e l’uomo di governo. Mentre in campagna elettorale tuonava contro l’invadenza dello Stato, la burocrazia ministeriale e gli sprechi dello stato sociale, da presidente ha salvato la Social Security americana, finanziandola come non era mai successo. La sua Amministrazione ha aumentato di 61 mila unità il personale federale, creato un nuovo ministero, quello dei Veterani, e non ha mai abolito quelli dell’Energia e dell’Educazione. Non ha abrogato la legge sull’aborto, come chiedeva l’ala reazionaria del suo partito; ha varato i grandi piani di aiuti finanziari al Terzo mondo e nel 1986, con il finanziamento dell’Earned Income Tax Credit, ha lanciato quella che è stata definita "la più importante misura contro la povertà degli ultimi decenni". Reagan ha anche aumentato le tasse. Dopo un’iniziale e gigantesca riduzione, le ha alzate quattro volte tra il 1982 e il 1984.
Nell’ultima parte del suo mandato, Reagan ha messo in agenda il tema dei diritti umani, imponendo a Michail Gorbaciov la liberazione di migliaia di ebrei e dissidenti perseguitati dal regime sovietico. Ha vinto la guerra fredda, battendo i comunisti con una spaventosa corsa al riarmo. Ma si è fermato. I cowboy sono gente seria. L’America di Reagan aveva vinto e l’Impero del Male stava crollando. Non c’era alcun motivo di infierire. Reagan ha scommesso su Gorbaciov, e iniziato il disarmo. Come un cowboy buono, un cowboy di sinistra.
6 Febbraio 2003