La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 3 febbraio, Giorno
VI della Nuova Era Forte & Deceramizzata, si apriva con "Columbia
non doveva volare". Nonostante l’assenza dell’articolo determinativo,
si intuisce che si parla dello Shuttle esploso nel cielo del
Texas (nel titolo di pagina due, l’articolo determinativo c’è,
e più correttamente si legge: "Il Columbia non doveva
volare"). Rep. dedica sei pagine al disastro. C’è
un editoriale di Vittorio-Gatto-Copione-Zucconi (Zuccopycat)
che Redazionalmente Corretto ha smesso di leggere a causa della
seguente frase: "E’ il giorno della tenerezza, è
il giorno dello sciacallo". Eppure l’articolo che Zuccopycat
aveva scritto sul numero di domenica (sempre sul Columbia) era
davvero bello, il migliore tra i tanti pubblicati dai giornali
italiani. Domenica c’era anche un editoriale di un Eugenio Scalfari
antimodernista, la cui tesi è più vicina a Massimo
Fini che a Ernesto Rossi. Fin dal titolo si capiva la tesi: "Il
tramonto del sogno tecnologico". Secondo Scalfari l’esplosione
dello Shuttle, proprio "nel momento in cui sta per prender
l’avvio una guerra interamente basata sulla tecnologia",
dovrebbe far riflettere sul "mito della tecnologia".
"E’ una sconfitta della tecnologia", scrive. "Non
c’è da fidarsi della tecnologia", aggiunge.
Una riflessione alta, come sempre. Che però, quel furbo
di Ezio Mauro (che la Forza sia con lui) gli smonta completamente,
pubblicando una bella intervista di Antonio Monda a Saul Bellow.
Seguono estratti: "Non ci rendiamo conto che i miracoli
della tecnologia portano sempre con sé un elemento di
altissimo rischio"; "L’unico limite che vedo è
quello morale. E’ assurdo pensare che la ricerca non debba andare
avanti". Monda trova perfidamente tutti i modi possibili
per fornire assist a Bellow, e quindi per smontare Scalfari.
Bellow non si fa pregare: "Sono le imprese umane che portano
con sé l’idea di vulnerabilità e di fragilità.
Ed è parte del loro fascino e della loro grandezza";
"Io continuo a considerarlo un incidente, non troppo diverso
da quello che può accadere su un normale aereo o su un
treno". E se Scalfari aveva concluso il suo lungo scritto
domenicale invitando a dubitare della spiegazione che ci darà
la Nasa "scommetterei che propenderanno per l’errore
umano, più rassicurante per noi" Saul Bellow
dice: "Mi colpisce infine che come sempre si è restii
a parlare anche dell’eventualità di un errore umano".
Il tema fallimento tecnologia/errore umano è scabroso,
e nella redazione di Rep. si è molto discusso se il medesimo
articolo che Giorgio Bocca ha piazzato al Venerdì e all’Espresso
fosse il frutto di un fallimento tecnologico, di un errore umano
o del solito riflesso dei moralizzatori alle vongole.
Alexander Stille ha scritto un commento piagnoso dal titolo "Se
la tragedia diventa il solito show". Stille tiene a farci
sapere che: a) "Fino al tardo pomeriggio di sabato non sapevo
nulla della tragedia dello Shuttle e nemmeno ho acceso la tv
una volta tornato a casa"; b) "Allo stesso tempo sospetto
che questa mia fuga dalla tragedia dello Shuttle molto abbia
a che fare con l’apparente incombere della guerra all’Iraq e
con il senso di frustrazione e di impotenza comune a molti di
noi in questo periodo"; c) "Quando ho acceso la televisione,
ieri mattina, per ragioni strettamente professionali"; d)
"Ho chiesto a una parente se avesse seguito in tv il discorso
di Bush sullo stato dell’Unione"; e) "Lei mi ha risposto:
io Bush non lo reggo proprio"; f) "Ci sentiamo trascinati
in guerra senza poter far nulla". Se Stille avesse sfogliato
un giornale anche solo per motivi professionali si
sarebbe accorto che "due americani su tre sono favorevoli
alla guerra" (Rep. lo scrive a pagina 10 e dà anche
la notizia che il New Yorker, giornale per il quale scrive Stille,
è certo di legami tra Al Qaida e Saddam).
Infine la politica. Rep. aveva più volte sfottuto il Cav.
per aver consegnato l’Italia a Bush senza alcun ritorno diplomatico.
Il Corriere, sabato, ha raccontato che Bush avrebbe già
offerto il segretariato generale dell’Onu ad Antonio Martino,
ma Rep. ha fatto finta di niente. Ieri, invece, c’era un’intervista
a Sergio Cofferati, annunciata con enfasi: "Ulivo, Cofferati
scende in campo". Essendo già sceso in campo da qualche
mesetto, non pare proprio uno scoop.
Bella la pagina di Miriam Mafai sul libro di Alberto Asor Rosa,
accusato di antisemitismo: "Veniamo dunque al punto: davvero
ne ‘La guerra’, ultimo libro di Asor Rosa, ci sono affermazioni
di tipo antisemita?". Secondo la Mafai sì. Rep. incassa
il colpo (e anche la manchette pubblicitaria del libro di Asor
Rosa). (continua)
4 Febbraio 2003