New York. David Brock è un bugiardo. Il principe dei voltagabbana. Un farabutto senza limiti. Uno che è meglio stargli alla larga. Ovviamente è un giornalista. Di destra, tra l’altro. O meglio, è stato un giornalista di destra. Ora si è pentito, e vomita la sua bile addosso ai suoi ex compagni con un libro che sta facendo il giro delle pagine culturali dei giornali americani, "Blinded by the right – The conscience of an ex conservative", Reso cieco dalla destra – La coscienza di un ex conservatore (Crown, 336 pagine – $ 25.95).
Non era uno qualsiasi, David Brock era il reporter di punta di quella "vast right wing conspiracy", per usare parole di Hillary, che imperversò negli anni clintoniani e che culminò nell’impeachment al presidente Democratico o, a seconda dei punti di vista, nell’elezione di George Bush alla Casa Bianca nel 2000. Per dirne una, Brock è il cronista che scoprì che le accuse di sexual harassment di Anita Hill nei confronti del giudice repubblicano Clarence Thomas erano false, (ma erano false davvero?). Scrisse lui il libro "The Real Anita Hill", dove la donna fu raccontata come una sgualdrinella che restituiva agli studenti i libri impreziositi da suoi peli pubici. Cose così, scriveva Brock. Diventò una star nei circoli repubblicani di Washington, un prodigio, un hit man, come dice lui stesso, cioè una specie di killer di avversari politici.
All’epoca aveva poco meno di trenta anni e cominciò a guadagnare centinaia di migliaia di dollari all’American Spectator, a guidare Mercedes e a dare ricevimenti nella sua casa di Georgetown per il gotha politico conservative, allora abbarbicato sulle posizioni estremiste di Newt Gingrich. Per dirne un’altra, Brock fu il primo a parlare di Paula Jones, la donna che accusò Clinton di averla costretta a un rapporto sessuale quando era governatore dell’Arkansas.
Brock ha chiesto scusa, prima ad Anita Hill, poi ai Clinton. Ovviamente è diventato un paria tra i suoi vecchi amici, specie dopo che ha cominciato a collaborare con quei clintoniani, con Sidney Blumenthal in particolare, che volevano dimostrare il complotto della destra nei confronti del presidente. Ha perso il lavoro, i soldi e i contratti miliardari. Con questo libro si prende un po’ di rivincite e confessa di non aver mai creduto alle cose che scriveva; che Thomas aveva una gran collezione di video porno; e che anche i più alti dirigenti repubblicani erano certi che il giudice avesse fatto le avance sessuali ad Anita Hill.
La convinzione di aver sbagliato tutto, di aver fatto un gioco troppo sporco, Brock dice di averla avuta quando gli commissionarono una biografia denigratoria di Hillary Clinton. Ricevette un anticipo milionario, che nonostante i dubbi si intascò senza indugi, e cominciò a lavorare per trovare le prove che la First Lady fosse lesbica, fedifraga, accecata dal potere e implicata in un assassinio. Brock si accorse che erano soltanto pettegolezzi fatti circolare ad arte dagli avversari repubblicani, non si trovava nessun testimone, né un amante, uomo o donna che fosse. Il libro lo scrisse lo stesso perché i pacta sunt servanda, ma se non ne è risultata un’elegia della signora Rodham poco ci è mancato. I repubblicani volevano il sangue, altro che il fioretto, così hanno pensato fosse diventato matto e raccontato il suo travaglio come una storia torbida di sesso e di amicizia intima con un ex consigliere di Hillary.
Brock è gay, e per anni ha vissuto senza imbarazzi tra chi sosteneva che l’omossesualità fosse una malattia. Nel libro racconta di quanto fossero ipocriti i leader repubblicani, uno dei quali per festeggiare chissà quale vittoria elettorale del partito una sera gli mise la lingua in bocca.
Il punto è se bisogna credergli quando dice di aver raccontato un sacco di bugie. E’ credibile la sua confessione? E’ il solito problema che si pone con chi dice di aver mentito, è il paradosso del mentitore. Se imbrogliava allora, chi ci dice che non sta continuando adesso?
La politica americana negli anni Novanta
I giornali si sono divisi, quelli di destra ovviamente ridicolizzano il nuovo Brock. Il New Yorker e il New York Observer invece giurano sul suo pentimento, ma non lo accolgono come un figliol prodigo, un po’ si tengono distanti, perché non si sa mai che questo qui un giorno li sputtani come ha fatto con i suoi ex amici. Anche il Washington Post non si fida, e critica proprio questo aspetto del libro: era proprio necessario raccontare i dettagli della vita privata di un mucchio di persone per lavarsi la coscienza? Forse no, ma descrivono la politica americana degli anni 90 meglio di un film.