La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, sabato 22 marzo, Giorno
III della Nuova Era Forte & Andreottiana, si apriva con "Baghdad
in fiamme". Il reportage dalla città è di
Bernardo Valli.
Gli articoli di Valli sono eccezionali, sobri, asciutti, analitici.
Riescono a trasmettere il sentimento della città senza
essere retorici: "Anche questa volta i missili cadono in
direzione dell’hotel Al Rashid, sui palazzi del potere. Su palazzi
vuoti, abbandonati da tempo dai titolari di ministeri e responsabili
di varie polizie e capi di Stato maggiore delle Forze armate".
E, ancora: "Poiché c’è un linguaggio delle
bombe, un linguaggio brutale ma chiaro, quei bombardamenti devono
essere interpretati, letti, come se fossero messaggi. Messaggi
indirizzati alla popolazione. Vedete, dice in sostanza George
W. Bush agli smarriti, traumatizzati sudditi di Saddam Hussein,
noi cerchiamo di colpire soltanto i bunker del rais, il suo palazzo
presidenziale e gli edifici dei suoi ministeri e dei suoi complici.
Sulle sponde del Tigri noi distruggiamo unicamente i simboli
concreti del regime. Non abbiamo nulla contro di voi, abitanti
dell’antica Mesopotamia (qui, però, Valli sembra Zuccopycat).
Da dove un tiranno megalomane minacciava il mondo".
E gli iracheni? "Eppure, se ti limiti allo sguardo, tu,
straniero, non noti la brusca accelerazione dell’angoscia. A
occhio nudo non vedi né affannosi preparativi alla difesa,
né scomposte corse a procurarsi scorte alimentari in previsione
di un assedio. Al piccolo mercato di via Bataawin, un tempo nel
cuore del ghetto, non c’è ressa davanti ai negozi di legumi
e di cereali. Le famiglie si sono, forse, già procurate
il necessario. Ma perché non c’è un viavai di militari?
Trovi strano che le divise in giro siano tanto rare. Ti meravigli
che non ci siano posti di blocco. Che non sia stato imposto il
coprifuoco. Sarebbe naturale, persino scontato, in una capitale
che si prepara a una battaglia, a un assedio, insomma a uno scontro
armato". Bravo bravo bravo.
Meno bravi Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo (Davanpour). Va lodato
il loro coraggio (Red. Corr. sta qui, comodo dietro una scrivania)
ma andrebbero evitate frasi di questo tipo: "Sono colpi
sordi che lasciano una lunga eco cupa"; "masticando
quella sola parola d’inglese che la paura in quel momento gli
portava alle labbra"; "tutti sono in ghingheri";
"ci si pigia nella macchina"; "come dice un omone
dalle guance ben rasate"; "e bercia ancora mentre i
suoi uomini mangiano mandarini"; "due di loro inforcano
una Honda 125".
L’umoralista Michele Serra se l’è presa per la sintesi
del suo pensiero fatta giovedì da Red. Corr. Aveva scritto
che a causa della sproporzione di forze in campo gli è
"molto difficile fare il tifo per una squadra come gli Usa".
Red. Corr. aveva capito che non tifando Bush, Serra potesse avere
una qualche simpatia per l’altra squadra, per quanto "orrida".
No, falso. Ieri Serra, dandoci di "puerili cocacolisti"
in quanto "fanatici filoamericani", ha precisato il
suo pensiero: non è impegnato al fianco di Saddam. Bene.
E ci scusiamo. Ricapitoliamo, però: Serra non vuole la
vittoria dell’orrido Saddam, ma non tifa neanche per i suoi avversari,
tantopiù se la curva Usa è affollata da puerili
e fanatici cocacolisti. Né 1 né 2. Chinotto in
mano, Serra spera in un pareggio.
(continua)
23 Marzo 2003