E’ semplicissimo: Bush non deve fare Bush. Ora che ha liberato gli iracheni, George W. deve fare l’esatto contrario di quello che fece George H., suo padre. Non deve ripetere il 1991, non deve neanche per un minuto pensare di ritirare le truppe dal Golfo, go home e lasciare che se la sbrighi l’Onu. Sappiamo come è finita allora, no? Dodici anni di massacri e torture e disastri e ispezioni e risoluzioni e chiacchiere per chiudere le quali è stato necessario un nuovo intervento armato. Non solo. I più violenti tra gli antisionisti e gli antiamericani hanno creduto che l’impero americano avesse dei limiti, che potesse essere piegato con l’eroismo, la forza della volontà, la fede. Rimanete nel Golfo, please. E non badate alla canea europea. Non badateci, perché tanto è uguale: se restate grideranno all’imperialismo, se ve ne andate diranno che ve ne frega niente dei poveri iracheni.
Chiedere agli alleati di andarsene e di lasciare la gestione dell’Iraq all’Onu, come fanno già gli irresponsabili, è più che una follia, è un’idiozia. Se andasse via l’esercito chi impedirebbe che curdi, sciiti e sunniti si massacrino? Le Nazioni Unite? Come a Srebenica, dove i caschi blu francesi e olandesi dissero prego-accomodatevi ai macellai della pulizia etnica serba?
Gli americani devono restare per garantire la sicurezza, l’integrità territoriale, avviare il processo democratico-rappresentativo, rigenerare la produzione petrolifera, disarmare e ricostruire il paese. C’è un articolato progetto scritto dalle opposizioni in esilio che prevede uno Stato federale e "non arabo" che renda i curdi cittadini di serie A.
Dovranno restare a lungo. Avete presente il Giappone e la Germania del secondo Dopoguerra? Nel Kurdistan iracheno ci vollero sei mesi per avviare la democratizzazione, in Iraq sei mesi non basteranno. Un’opposizione interna non c’è, Saddam non era rose e fiori con i suoi critici. Ahmed Chalabi, presidente dell’Iraqi National Congress, è il più preparato a governare il paese, ma è odiato da Powell e Cia (una garanzia, dunque). La macchina nostrana della propaganda ha già iniziato a scollegare il cervello. Pensate, lo accusano di mancare dal suo paese da 45 anni. A parte il fatto che non è vero (ha combattuto al nord tra il 1991 e il 1996), è grottesco dargli la colpa di non aver mai prenotato una camera della morte al Grand Hotel Saddam.
Ci vorrà tempo. E’ ovvio che gli angloamericani non potranno e non vorranno farcela da soli, ci sarà dunque bisogno di coinvolgere i soldati dei paesi Nato e della coalition of the willing (Italia compresa). L’Onu, con la sua Siria e la sua Francia, se ne stia alla larga, e si occupi delle emergenze umanitarie, degli ospedali e degli aiuti, di riconoscere il nascente governo iracheno e di rendersi utile senza fare eccessivi danni. Si coinvolgano anche la Banca Mondiale, il Fondo Monetario, il club di Topolino e tutte le organizzazioni multilaterali possibili. Ma finché non si consolida un potere centrale iracheno, gli angloamericani dovranno restare lì. Siria e Iran capiranno che il mondo post 11 settembre è diverso, che la stagione del terrorismo va chiusa. I dittatori non se ne accorgeranno subito, i loro popoli sì.
Una guerra antifascista
Questa è una guerra antifascista, una guerra nata dopo l’11 settembre a scopo difensivo che ribalta la tradizionale visione realista della politica estera americana in Medio Oriente. Prima dell’11 settembre, le mosse di Washington erano volte a mantenere lo status quo, a comprarsi con i dollari del petrolio e degli aiuti i già corrotti regimi arabi. Quella visione kissingeriana nel lungo periodo non ha funzionato, come è stato evidente al World Trade Center e ogni giorno per le vie di Gerusalemme. Ora l’idea è di liberare quelle società, aprirle, democratizzarle. E’ l’idea dei neoconservatori. Un tempo qualcuno l’avrebbe definita un’idea di sinistra. Eppure chi fino a ieri blaterava di "Vietnam nel deserto", la giudica un’idea fanatica. E si ritrova alleato di Kissinger. E’ un passo avanti, in effetti. I nostri talking gun, i pistola che parlano, quelli che non ne hanno mai azzeccata una né sull’Iraq né sui Balcani, che hanno sfilato ora per Stalin ora per Mao, ora per Pol Pot ora per Castro, ai tempi di Kissinger stavano con i vietcong.