Non siamo solo noi ad avere una sinistra che non si augura la vittoria degli americani. Anche gli americani hanno una sinistra dell’autogol. Un professore di antropologia della Columbia, Nicholas De Genova, ha detto ai suoi studenti di augurarsi "un milione di Mogadiscio". Cioè un milione di Black Hawk Down, cioè la morte di migliaia di suoi connazionali, cioè la vittoria di Saddam Hussein. Nessuno dei tremila presenti ha protestato, salvo poi applaudire quando il prof. ha detto che "se davvero crediamo che questa guerra sia criminale, allora dobbiamo credere nella vittoria del popolo iracheno e nella sconfitta della macchina da guerra americana". Certo, sono casi isolati, ma mica tanto. Sul Boston Globe, principale giornale del Massachusetts, liberal e di proprietà del New York Times, James Carroll ha scritto che non c’è nessuna differenza morale tra il regime di Baghdad e l’Amministrazione di Washington. La campagna "shock and awe", scuoti e sgomenta, secondo Carroll equivale "in modo puro e semplice" al terrorismo dell’11 settembre.
Ora non c’è alcun bisogno, qui, di confutare tali fesserie, né di citare i principi volterriani del mi batterò perché tu possa dire simili scemenze. Sono cose ovvie.
Va detto però che gli americani hanno un pregio rispetto alla nostra sinistra dell’autogol. Se pensano "W Saddam", dicono "W Saddam". I nostri ci girano intorno, come si è visto dalle (non) risposte al quesito di Adriano Sofri: ora che la guerra c’è, tifate per una rapida vittoria degli alleati o no?
La sinistra italiana dell’autogol, invece, quando prende il coraggio di mettere fuori il naso, poi se ne vergogna. Ha iniziato Michele Serra, su Repubblica. Scrisse che data la disparità in campo "gli risultava difficile tifare per la squadra di Bush". Quando, qui sul Foglio, abbiamo tratto la conclusione che non tifare Bush significa scegliere Saddam, Serra se ne è lamentato.
Poi è arrivato il "né né" di Guglielmo Epifani. Inchiodato alle sue parole da un magistrale articolo di Francesco Merlo, Epifani ha debolmente ritrattato. Riccardo Barenghi, il più coraggioso in verità, ha scritto sul Manifesto un editoriale che più di ogni altro si avvicina al reale pensiero di molti politici e giornalisti italiani. Barenghi ha scritto che detesta Saddam ma se si guarda allo specchio spera "che gli iracheni resistano, che gli americani paghino cara la loro guerra, che il sacrificio di migliaia di soldati o civili possa servire a bloccare Bush".
Dopo Barenghi è stato Giovanni Berlinguer a ritenere "sbagliato auspicare una rapida vittoria delle truppe e dei bombardieri angloamericani" perché "il popolo iracheno passerebbe da un’oppressione a un’altra". Berlinguer ha tentato un mezzo dietrofront, addirittura a Domenica In, che si è svelato più filo Saddam della dichiarazione che voleva correggere: "E’ assurdo fare il tifo per l’aggressore: non auspico che vincano le truppe angloamericane".
L’ultima posizione, la più avanzata nello svelare questo sentimento così antiamericano da essere pro Saddam, è quella di Sergio Cofferati. Il leader del correntone ds (o di tutti e due) non solo non si augura una fine veloce della guerra, ma preferisce la sconfitta americana all’ipotesi che Saddam se ne vada. Il Corriere riporta, infatti, una sua dichiarazione contraria a subordinare un’eventuale tregua all’allontanamento di Saddam: "Così si corre il rischio di legittimare a posteriori la scelta della guerra preventiva". Capito? Cofferati preferisce che Saddam resti a torturare il suo popolo piuttosto che dover poi riconoscere che gli americani siano riusciti a liberare gli iracheni.
Sembra proprio che abbia ragione Stephen Glover, il quale sullo Spectator ha scritto che molti pacifisti sperano che accada il peggio, perché solo il peggio proverebbe che loro hanno ragione. Domenica, sul Manifesto, un lettore sintetizzava bene questo concetto: se vincessero gli americani, si è domandato, "il movimento pacifista sarebbe sconfitto e dovrebbe subire in silenzio gli inevitabili ‘avete visto che in pochissimo tempo abbiamo liberato l’Iraq’ dei Giuliano Ferrara?". E’ questo il motivo per cui i giornali tendono a credere più alla propaganda di Saddam che a quella alleata, ha scritto ieri, su Salon, Andrew Sullivan. Secondo un intellettuale raffinato come Luciano Canfora "in questa guerra c’è un dittatore contro l’altro". Ma, scusate, se sono la stessa cosa, se Bush e Saddam sono tiranni feroci e sanguinari, se non c’è differenza morale, perché marciate soltanto contro Bush? Siete per caso antiamericani?
1 Aprile 2003