La prima pagina di Repubblica (Rep.) di venerdì 30 aprile 1993, Anno II della Nuova Era Onesta & Pulita, si apriva con un titolo di mezza pagina: "VERGOGNA, ASSOLTO CRAXI". I fatti separati dalle opinioni. I republicones hanno stampato una prima pagina-poster per consentire ai lettori-fan delle manette di poterne fare uso militante. Sul numero del primo maggio c’è una foto del prof. Gianni Vattimo e di suoi simpatici colleghi dell’Università di Torino esibenti copie di Rep. In effetti la prima pagina di Rep. è servita come convocazione per le manifestazioni del giorno successivo.
L’editoriale è di Eugenio Scalfari, allora sia direttore sia fondatore sia ex demitiano. L’attacco dell’articolo diciamo che non smorza i toni: "Questo, dopo il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro, è il giorno più grave della nostra storia repubblicana". Mizzica. Una strategia eversiva e sei omicidi messi al pari con un libero voto di un Parlamento eletto da un anno. "Non sembri azzardato l’accostamento: la negata autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi ha la stessa valenza dirompente ed eversiva dell’uccisione di Moro. Forse c’è addirittura un filo nero che lega l’uno all’altro questi due avvenimenti a quindici anni di distanza". Eppure, non solo allora, ma soprattutto a dieci anni di distanza, pare molto azzardato. In fondo che cos’era successo quel giorno? La Camera aveva vietato di indagare su Craxi? No, non aveva vietato. Il Parlamento aveva detto di sì: "I magistrati potranno indagare solo sui fatti corruzione avvenuti a Roma". La Camera ha anche autorizzato tutte le inchieste sul reato di finanziamento illecito ai partiti, mentre ha detto di no soltanto alla perquisizione personale e alle indagini sui fatti di corruzione avvenuti a Milano, e questo perché sospettava (chissà perché) che i magistrati milanesi non fossero imparziali nei confronti del Cinghialone. Il primo maggio del resto è la stessa Rep. a spiegare e rassicurare i lettori che in fondo non è successo niente: "Ma per Bettino non finisce qui la tangente-story". Ecco come inizia l’articolo: "E’ aperta la caccia degli investigatori della Procura sui possibili conti correnti, in Italia e all’estero, riconducibili a Bettino Craxi. Sino a questo momento, in attesa del voto della Camera, i pm avevano dovuto fermarsi alle soglie delle banche, bloccati dalla barriera dell’immunità parlamentare. Adesso, ammettendo la possibilità del rinvio a giudizio per il reato di violazione della legge sul finanziamento pubblico, il Parlamento toglie per la prima volta quella barriera. I pm milanesi sono già al lavoro in questa direzione. Non sono abbattuti, sanno di avere parecchio lavoro in cantiere nei riguardi di Craxi". Di più: "I giudici possono indagare contro Craxi e rinviarlo a giudizio, se avranno raccolto elementi sufficienti, per gli otto versamenti fatti a Balzamo e qualificati come corruzione".
Il giorno dopo, primo maggio, la prima pagina di Rep. si apriva con "L’Italia non ci sta. Migliaia in piazza contro lo scandalo Craxi". Due gli editoriali. Uno di Giorgio Bocca (Georges Bouche) il quale pensa di "non violare alcun segreto istruttorio" se scrive che "negli uffici della procura di Milano ci sono i nomi di altre trecento persone, in maggioranza politici, cui già oggi potrebbe arrivare un avviso di garanzia". L’avviso di garanzia preventivo.
L’altro è di Ferdinando Adornato, allora enfant prodige di Scalfari: "Teniamole bene a mente le immagini di questo giovedì nero del Parlamento italiano, 29 aprile 1993. Sono un affresco d’epoca, un documento storico per figli e nipoti. Quella tenera stretta di mano tra Craxi e Martelli, quei servili ringraziamenti di Gerardo Bianco al ruolo storico del divo Bettino" (A proposito di Gerardo Bianco, c’è un’intervista di Silvana Mazzocchi a Francesco Rutelli dal titolo "Non si può stare con questa gente". Ora Rutelli e Bianco sono nello stesso partito).
Il più ispirato è Mino Fuccillo (Fuccì). Comincia così il suo articolo di cronaca: "Non sarà una rivoluzione, ma di certo è una rivolta: di stomaco. Politica andata a male, scarti di furbizia parlamentare, muffa cresciuta al posto che fu della morale: stavolta la dose inflitta è stata grande, troppo grande per ogni possibilità di digestione". A Fuccillo è andata di traverso la colomba pasquale. "E da trentasei ore ininterrottamente, ossessivamente, appena un italiano ne incontra un altro prima si dicono (sic): ‘Che vergogna’ e poi aggiungono: ‘Ciao’. Si diffonde come un’epidemia, la forma di contagio è il contatto umano, basta avere una coscienza e un cervello e si è subito colpiti". Fuccì mica si ferma, continua: "Basta un ufficio, una fabbrica, un bar, un autobus, una scuola, un’università. Ieri c’è stato di fatto uno sciopero generale: ovunque ci si è fermati per qualche minuto, il tempo per dire che l’Italia non ci sta". Sarà per queste e altre parole ("Qualcuno riscopre perfino il primo maggio Primo maggio contro qualcuno e per qualcosa dopo tanti primi di maggio pieni di nulla") che Fuccì si è guadagnato la direzione dell’Unità (non un grande affare per l’Unità, in verità).
Anche Giovanni Maria Bellu non scherza. Il titolo è: "Craxi, dagli schermi tv l’ultima sfida al paese". Ecco: "Chissà quante volte ieri ha dovuto stringere i denti, respirare profondamente, riprendere il controllo di se stesso. Per poi scoprire in un solo istante, in un solo grido, in un solo sorriso ironico o pietoso colto sul viso di un passante o di un uomo della scorta che nessuna forza della volontà, nemmeno la più decisionista, può cancellare quello che è accaduto".
Il manipulitismo dilaga ovunque: "Ora anche Avellino vuol sentire Romiti", mentre la pagina della cronaca di Roma si apre con un grottesco "Troppe manette, niente valzer", causa avvisi di garanzia "è stato annullato il tradizionale ballo delle debuttanti al Grand Hotel". Una notizia buona però c’è: il movimento di Leoluca Orlando è il più indignato. Rep. titola: "La Rete annuncia: mai più in Parlamento". In effetti finirà così.
28 Aprile 2003