Camillo di Christian RoccaRedazionalmente Corretto del 10 aprile 2003

La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, mercoledì 9
aprile, Giorno XVI della Nuova Era Forte & Andreottiana,
si apriva con: "Bagdad, caccia a Saddam". Rep. di ieri
era un giornale serio, a differenza di altri concorrenti italiani.
Per esempio non ha scritto balle sul tragico episodio dei giornalisti
morti all’albergo Palestine. Su Rep., a firma di Bernardo Valli,
c’era una ricostruzione plausibile dell’errore che ha causato
la morte dei due cameramen, anzi l’unica tecnicamente credibile
a meno che non si voglia credere a Lilli Gruber che sulla Stampa
scrive che "se viene confermato ­ come ormai mi pare
sia confermato ­ che i militari americani hanno deliberatamente
sparato sull’albergo dove lavorano giornalisti di tutto il mondo".
Cioè secondo Gruber, se viene confermato come ormai le
pare sia confermato, gli americani hanno sparato apposta. Bernardo
Valli, invece, le conferma, come ormai pare sia confermato, che
ha detto una stronzata. E spiega l’errore fin dalle prime righe:
"Sono stati infatti i sofisticati strumenti ottici, al laser,
di un Abrams, un carro armato tanto perfetto da risultare intelligente,
a scambiare gli obiettivi delle loro telecamere per fucili di
cecchini".
Poi c’è un doppio strepitoso Magdi Rummy Allam. E qui
va aperta una parentesi. Finita la guerra, Onu o non Onu, a Rep.
va imposto un "regime change": Magdi Rummy va promosso,
va messo perlomeno al posto di Davanpour. Qualcosa andrà
fatta. Il primo articolo di Magdi Rummy smontava l’idea che ci
siamo fatti in Occidente della "piazza araba" con le
parole di un editorialista di Al Seyassah: "Come possiamo
noi arabi del Golfo giustificare le pretese delle nostre emittenti
televisive che si prestano a fare da megafono agli islamici,
alla sinistra e ai nazionalisti?". Una specie di "the
case against Al Jazeera" scritto dal Cav. E, ancora: "In
cinquant’anni l’America e la Gran Bretagna non hanno mai cercato
di imporci i loro usi e le loro consuetudini. Non ci hanno confiscato
le ricchezze. Né infine ci hanno privato della nostra
arabicità e del nostro nazionalismo". Da far leggere
a Bocca and company. Finito? No, non è finito: "Se
gli arabi del Golfo hanno da ridire sul comportamento degli Stati
Uniti dopo l’11 settembre, domandiamoci innanzitutto chi è
responsabile del coinvolgimento di tanti nostri giovani in quegli
attentati terroristici. Noi uccidiamo degli innocenti a casa
loro e poi ci lamentiamo se interferiscono nei nostri affari
interni". Ritagliare e conservare.
Il secondo articolo di Rummy potrebbe aver fatto venire un colpo
a un ex autore della Rai di Baldassarre, quello che ieri ne ha
ripetute di ogni contro il Cav: non conta niente, è un
buffone internazionale, è uno Schifani di Bush (buona
battuta, però). Magdi Rummy racconta altro. Inizia così
la sua intervista al neo viceamministratore civile per gli Affari
internazionali dell’Iraq, il britannico Tim Cross: "Ci piacerebbe
avere i carabinieri italiani per collaborare con le forze angloamericane
nell’opera di normalizzazione dell’Iraq". Il braccio destro
di Jay Garner fa elogi all’Italia e al lavoro che potrebbe fare
laggiù. Il titolo è esplicito: "Già
al lavoro il governo a interim, anche l’Italia avrà un
compito". Che ne pensa l’ex autore della Rai di Baldassarre?
Vittorio-Gatto-Copione-Zucconi (Zuccopycat), dopo che cinque
giorni fa parlava ancora di "Vietnam nel deserto",
ora spiega che l’America di Bush sta già perdendo il dopoguerra,
ma Red. Corr. teme che abbia scambiato George W. per suo padre
George H. (vedi l’articolo di fianco).
C’è anche un ottimo articolo, tradotto dal New York Times,
sul ritorno a casa di un esule iracheno arruolato nei marines
e accolto come un eroe. Ottima anche la lunga intervista di Massimo
Giannini a Giuliano Amato, sempre in prima linea quando c’è
da riposizionarsi.
Incomprensibile l’attacco dell’articolo di Leonardo Coen: "Saddam
è appena entrato, l’abbiamo nel mirino, sbrigatevi a premere
il grilletto: la frase in codice arriva lunedì pomeriggio
eccetera". In codice?
Rep. intervista Francesco Saverio Borrelli, che ora vuole tornare
a fare "l’operaio della giustizia". Operaio? E’ la
sindrome di Stoccolma rovesciata a far usare all’ex accusatore
le stesse immagini di chi voleva mettere ai ceppi. Red. Corr.
è favorevole a un ritorno di Borrelli in toga, e anche
al danno collaterale di Marco-tutto-chiacchiere-e-manette-Travaglio.
Infine un articolo dal titolo minaccioso, "I pericoli della
pax americana", a firma di Massimo L. Salvadori. Red. Corr.
non lo ha letto. (continua)

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