La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, martedì 22
aprile, Giorno VII della Nuova Era Scurdammoce ‘o Passato, si
apriva con: "Virus killer, terremoto politico in Cina".
Ma la notizia più importante è ancora sulla guerra
in Iraq: "Bagdad, arriva il governatore". In prima
pagina parte anche un reportage sulla "grande marcia degli
sciiti" a firma di Leonardo Coen e Alberto Stabile. I due
inviati raccontano la vita nella città di Kerbala liberata
da Saddam Hussein. I cittadini non smettono di ringraziare gli
americani, e in città non c’è traccia di devastazioni
e distruzioni: "Nelle case funziona persino l’aria condizionata".
Finalmente nella città santa si può festeggiare
la ricorrenza religiosa, ma "la festa si fa politica: si
celebra la fine del regime". Tutto perfetto, dunque, a differenza
di quanto è stato scritto nei giorni precedenti. Il finale
non è all’altezza. I due republicones si trasformano in
Oliver Stone e immaginano un complotto: "Si teme che possa
succedere qualcosa. O che qualcuno possa sfruttare il giubileo
sciita per una provocazione che finisca col mettere contro le
due anime musulmane di questo paese".
Accanto al reportage c’è un’interessante intervista al
capo religioso di Kerbala. L’imam fa lo stesso errore che fece
Rep. qualche giorno fa e dice di non volere "gente come
Chalabi, che ci risulta essere finanziato dalla Cia". Gli
risulta male. La Cia odia Chalabi, più di Saddam Hussein.
Rep. ha un lungo articolo dello scrittore messicano Carlos Fuentes
su Fidel Castro. Curiosamente anche il Corriere della Sera di
ieri ha un articolo di Carlos Fuentes. Non è lo stesso,
quello del Corriere è un "Piccolo breviario per inseguire
la felicità". Su Rep, invece, Fuentes spiega le malefatte
di Fidel per concludere "contro Bush e contro Castro".
Due curiosità. Un lettore che segnala uno studio dello
Stockholm International Peace Research Institute (già
citato dal Times, dal Foglio e poi dal Corriere, e mai da Rep.)
che smonta il luogo comune secondo cui "l’America ha armato
Saddam". Per l’istituto svedese, tra il 1973 e il 2002,
il 57 per cento delle armi irachene sono state comprate in Urss/Russia,
il 13 in Francia, il 12 in Cina, il 7 a Praga, il 4 in Polonia,
il 2 in Brasile e soltanto l’uno per cento in America. Margherita
Buy precisa con una lettera di "non odiare Nanni Moretti
e di non essere perseguitata da Laura Morante", così
come aveva detto, scherzando, nell’intervista pubblicata domenica
a firma Paolo D’Agostino.
La pagina dei commenti è dedicata integralmente a un articolo
di Mark Hertsgaard sulla crisi dei media americani. La tesi fa
abbastanza ridere: i giornalisti europei fanno un’informazione
migliore di quella americana. Sostiene Hertsgaard che "se
gli americani e gli europei hanno punti di vista divergenti sulla
guerra in Iraq e sul dopoguerra, ciò non dipende dal fatto
che gli americani sono di Marte e gli europei di Venere, come
l’ex consigliere di Ronald Reagan, Robert Kagan ha suggerito".
Bene, e da che cosa dipende? Ecco la risposta di Hertsgaard:
"Una spiegazione preferibile è che gli americani
si basano su informazioni diverse da quelle su cui fanno affidamento
i non americani, per la semplice ragione che gli organi d’informazione
Usa riportano le notizie di politica internazionale dall’ottica
di Washington, mentre i media degli altri paesi no". Verissimo,
informazioni diverse. Facciamo un esempio? Facciamolo: "Il
discorso pronunciato da Bush il 26 febbraio 2003 ben illustra
in che modo la Casa Bianca abbia associato Saddam alle atrocità
dell’11 settembre".
Ok, buon punto di partenza. I giornali e le televisioni americane
hanno raccontato quelle parole pronunciate da Bush il 26 febbraio
"con l’ottica di Washington", per cui ecco spiegato
perché gli americani si sono convinti che l’idea di liberare
l’Iraq fosse una soluzione giusta. E i giornali italiani, anzi:
e Rep.? Come ha raccontato Rep. il discorso del 26 febbraio che
il nuovo opinionista di Rep. ora prende ad esempio per spiegare
"che gli organi d’informazione Usa riportano le notizie
di politica internazionale dall’ottica di Washington, mentre
i media degli altri paesi no"? Per quale motivo gli americani
hanno sentito Bush, e si sono convinti, e noi italiani no, no,
no? Ecco, perché. L’importante discorso del 26 febbraio,
pronunciato da George Bush all’American Enterprise Institute,
per Rep. non è esistito, non c’è mai stato. Cioè,
Rep. non ha dato notizia del discorso di Bush, non se ne è
accorta o non ha voluto raccontarlo (del resto parlava di libertà
e di democrazia, certo non di petrolio). Ecco spiegato perché
"gli americani si basano su informazioni diverse da quelle
su cui fanno affidamento i non americani". La frase di Mark
Hertsgaard, novello editorialista di Rep., può dunque
essere cambiata così: "Gli organi d’informazione
Usa riportano le notizie di politica internazionale, mentre Rep.
no".
(continua)
23 Aprile 2003