La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 2 aprile, Giorno IX
della Nuova Era Forte & Andreottiana, si apriva con: "Iraq,
la strage dei civili". L’orrore è lucidamente spiegato
da un breve commento di prima pagina scritto da Adriano Sofri.
Una sintesi dell’articolo rovinerebbe il ragionamento sofriano,
il cui senso è "vedete, con la guerra non si sa mai"
perché se a un posto di blocco accogli a braccia aperte
un iracheno che poi si fa saltare in aria, finisce che la volta
successiva spari a un civile che veniva ad abbracciarti.
Rep. pubblica un articolo, tradotto dal Washington Post, sulla
strage al check point di Najaf. Il racconto è crudo, emergono
i fatti, per quanto orribili, e non il pensiero del cronista.
Non è così per l’altro articolo, scritto da Leonardo
Coen. Già dal titolo, Rep. interpreta i fatti più
che informare. Sotto il titolo principale "Najaf, i generali
si difendono" si leggono queste parole attribuite ai generali:
"Nessun errore, la strage è stata un incidente".
La frase, come è evidente, non vuol dire niente, può
solo fare intendere che gli americani girino intorno alle loro
responsabilità. Ma nell’articolo non c’è traccia
di questa frase. I generali dicono che è stato "un
incidente non premeditato". Coen ci mette di suo. E quando
i militari annunciano che apriranno un’inchiesta, ironizza: "Come
quella sul missile che ha colpito il mercato di Baghdad la settimana
scorsa e di cui non si sa più nulla?". Non se ne
è saputo più nulla perché Rep. non ha raccontato
(a differenza di Rep.it) le conclusioni inglesi sulla strage.
Per quanto da prendere con le molle, per quanto possibile propaganda
bellica, Londra ha già detto due volte di credere che
il missile fosse iracheno.
Se non fosse per Magdi Rummy Allam, i lettori di Rep. penserebbero
che gli iracheni resistono all’invasore, gli emigrati vogliono
tornare per combattere al fianco di Saddam mentre, paginata di
ieri di Federico Rampini, gli americani sono così cattivi
che non solo bombardano l’Iraq, ma perseguono con metodi polizieschi
gli iracheni residenti in America. Alla notizia della discesa
in campo di "migliaia di soldati islamici Usa al fronte
in Iraq" (Magdi Rummy) e di centinaia di iracheni arruolati
nelle truppe alleate (Coen) bastano poche righe.
Ieri è tornato Bernardo Valli, che a Baghdad un po’ si
sta annoiando. Voleva comprare un libro sui Sumeri, "ma
era troppo ingombrante". Poi, dopo essere "inciampato
correndo" è rimasto con "la pianta del piede
nuda" perché "la suola della scarpa destra si
è staccata". Dopo un lungo girovagare, "all’improvviso
il miracolo". Saddam si è arreso? No. "In via
Rashid abbiamo visto un ciabattino". Valli, per la cronaca,
ha scelto "suole siriane", scartando quelle "giordane
ed egiziane".
C’è da segnalare un dolcissimo commento di Andrea Bonanni
su Romano Prodi, descritto come l’uomo che metterà a posto
le cose, forse perché "spalleggiato anche da una
presidenza greca".
Vittorio-Gatto-Copione-Zucconi (Zuccopycat) ha fatto il suo tredicesimo
articolo per spiegare come sia ormai evidente la sonora sconfitta
americana. Ma una sconfitta certa è quella di Zuccopycat.
Qualche settimana fa, (Red. Corr. lo ha visto su Menabò,
trasmissione di Raisat, ma giungono voci di rivolte interne a
Rep. che se solo fossero sciiti anziché republicones saremmo
a posto), Ezio Mauro (che la forza sia con lui), chiese a Zuccopycat
di raccontare la scansione dettagliata, ora per ora, della giornata-tipo
di George Bush. Il giorno dopo uscì un articolo di Zuccopycat
alla Zuccopycat, ottimamente scritto, ma di scansione e di dettagli
neanche l’ombra. Quell’articolo, cui il direttore teneva tanto,
è stato pubblicato ieri, ma a firma di Francesca Caferri.
Sempre dall’America, ieri c’era l’ottimo articolo di Maurizio
Ricci sulle divisioni nell’Amministrazione per il dopo Saddam.
E’ vero che Ricci ne aveva già fatto cenno l’altro giorno,
ma le notizie dell’articolo di ieri erano prese dal Guardian
e dal Washington Post. Forse sarebbe stato più corretto
citare la fonte.
Ottimo, nonostante il pizzico di retorica, il ricordo del medico
Carlo Urbani ucciso dal virus che aveva contribuito a isolare,
scritto da Michele Serra. L’umoralista s’è bevuto il solito
chinotto sul "licenziamento in tronco di Peter Arnett".
Rep. però lo ha fregato, impaginandogli di fianco un editoriale,
tradotto dal New York Times, di Walter Cronkite, il decano dei
giornalisti americani. Il quale dice che Arnett è stato
"irresponsabile" e "ha macchiato la sua reputazione,
offeso una nazione e perso non a caso il suo incarico".
Le pagine Spettacoli non si lasciano sfuggire un’intervista al
più antiamericano del mondo, l’umorista et regista canadese
Michael Moore, il quale alla cerimonia degli Oscar aveva urlato
frasi sconnesse contro Bush, tra lo stupore dei colleghi e molti
buu e molti applausi del pubblico. Moore, il cui libro anti-Bush
sta per uscire per Mondadori ("regime, regime") ha
elaborato con Rep. una strana tesi per negare che sia stato fischiato.
Questa: "Ho visto la sala alzarsi in piedi ad applaudire.
Poi dalla galleria sono partiti i buu, e quelli che prima applaudivano
hanno cominciato a fare buu a quelli che facevano buu".
E’ ufficiale, Moore vuole il posto dell’ex autore della Rai di
Baldassarre.
(continua)
3 Aprile 2003