New York. Ora in Iran gli ayatollah arrestano anche i blogger, i curatori dei siti web personali che somigliano più a diari on line che a veri e propri giornali d’opposizione. Sina Motallebi, di 30 anni, è stato sbattuto in galera il 20 di aprile scorso per i contenuti del suo diario on line. Sina è un giornalista e critico cinematografico. Scriveva per un paio di giornali cartacei, di politica per il riformista Ham Mihan e di cultura per Hayat-e-No, entrambi chiusi dalla censura islamica. Così si è aperto il suo weblog, rooznegar.com, sul quale recensiva i film. Gli ultimi articoli postati (verbo che nel gergo dei blogger vuol dire "pubblicati") poco prima di essere arrestato non erano affatto di natura politica, sfotticchiavano piuttosto l’incapacità dei presentatori tv iraniani di pronunciare i nomi degli attori, e commentavano il ritiro di Michael Jordan, oltre che i problemi ai denti del figlioletto e un vecchio comunicato di un altro giornalista arrestato con l’accusa di aver distribuito illegalmente videocassette.
La polizia non ha subito spiegato il motivo dell’arresto di Sina, ma il giudice ha parlato di "contenuto del suo sito", di "interviste con la stampa straniera" e di "aver indebolito la sicurezza nazionale attraverso attività culturali". Le notizie sono state date dalla moglie di Sina, Farnaz Ghazizadeh, sul suo sito e poi da altri blogger iraniani che vivono all’estero (hoder.com da Toronto e eyeranian.net da San Diego). C’è anche una petizione per la liberazione di Sina (petitiononline.com/sina), ripresa dalla Bbc e che ieri contava 3.500 firme.
Il punto è che in Iran è scoppiata la mania dei blog, e le autorità religiose sembrano molto preoccupate. L’arresto di Sina viene considerato un avvertimento nei confronti degli altri blogger iraniani. Internet è diventato il mezzo ideale per un paese che al 60 per cento è costituito di ragazzi sotto i 25 anni. Il merito principale è di Hossein Derakhshan, l’autore di hoder.com, il quale ha spiegato ai suoi connazionali come si costruisce un sito e cos’è un blog. Ora i weblog iraniani sono oltre 10 mila (ma c’è anche chi ne conta 50 mila), un numero incredibile se si pensa che l’accesso a Internet non è facile come in Occidente. I blogger sono molto attivi, si riuniscono, raccolgono soldi per gli orfanotrofi, e hanno anche partecipato alle elezioni comunali di Teheran nonostante non avessero alcuna chance a causa dell’astensione di massa in segno di protesta nei confronti degli ayatollah e dei politici fintamente riformisti.
I weblog iraniani sono spesso anonimi e raramente politici, ma ai fondamentalisti appaiono ancora più pericolosi. Un post, cioè uno scritto sul weblog di una ragazzina come quello riportato da eyeranian.net può essere devastante per le autorità religiose: "Quando lui mi ha detto che i suoi genitori non erano a casa, ho capito che quella sarebbe stata la notte giusta. Lui aveva comprato erba e due pillole di ecstasy, ma ero troppo nervosa per apprezzarle. Quando abbiamo finito, non mi sono sentita né sconcia né colpevole. E mi sono chiesta per quale motivo c’è tutta questa agitazione".
Ora il problema è un altro. La moglie di Sina è preoccupata che la mobilitazione sotterranea in favore di suo marito possa avere effetti negativi sulla sua situazione carceraria. Anche lo stesso Sina, nell’unica comunicazione che gli è stata consentita una settimana dopo l’arresto, ha espresso il dubbio che al processo la campagna possa essere usata contro di lui.
Dunque, che fare? Fare finta di niente o organizzare una mobilitazione internazionale per la sua liberazione. I blogger iraniani sono divisi. Masoud Behnoud, un giornalista che ha vissuto la stessa esperienza di Sina, e forse anche peggiore visto che è stato rinchiuso per 50 giorni in una piccola cella buia, ha scritto sul suo weblog (da Londra) che pur comprendendo le preoccupazioni e le paure della moglie di Sina, crede che la sua situazione personale certo non potrà migliorare se si mette il silenziatore alla vicenda.
8 Maggio 2003