Quarantotto ore dopo che il presidente Bush dichiarò a una folla esultante di marinai sul ponte della USS Abraham Lincoln che i combattimenti in Iraq erano praticamente conclusi, i nove candidati per la nomina presidenziale del partito democratico hanno tenuto il loro primo dibattito a Charleston, nella Carolina del Sud. Avrebbe potuto essere un’occasione perfetta per una discussione seria sulle sfide alla sicurezza nazionale che la nostra nazione deve affrontare all’indomani della guerra in Iraq. Invece, siamo stati visti alla televisione nazionale mentre litigavamo fra di noi per stabilire se gli Stati Uniti continueranno a essere la potenza militare dominante nel mondo.
Al dibattito svoltosi a Des Moines, nello Stato dello Iowa, lo scorso weekend, c’era stata maggiore unanimità, ma principalmente nel ristretto contesto delle critiche a come il presidente ha finora condotto la guerra contro al Qaida. Sebbene quel dibattito abbia rappresentato un buon inizio, c’è ancora molto lavoro da fare se noi democratici vogliamo davvero affrontare una percezione che ha perseguitato il nostro partito per tre decenni: che siamo dei disertori nella sicurezza nazionale.
Nel bel mezzo di una guerra al terrorismo, il nostro partito e i suoi leader devono rendersi finalmente conto che non possiamo più prestare poca attenzione alle questioni di sicurezza se speriamo di riguadagnare la nostra posizione di partito di maggioranza. Dopo l’11 settembre, i democratici hanno adottato la strategia di seguire passo passo il presidente Bush sul terrorismo per poi cambiare argomento il più rapidamente possibile. Lo scorso autunno, i democratici del Congresso, in un disperato tentativo di inquadrare le elezioni di mid-term attorno alle questioni economiche, hanno autorizzato in tutta fretta e a malavoglia il presidente a usare la forza in Iraq. Alla fine, i democratici sono apparsi, come sottolineato da Newsweek, "inascoltabili, incoerernti e impotenti", e i repubblicani sono riusciti a rovesciare la consuetudine che vede il partito del presidente perdere seggi alle elezioni di mid-term e hanno assunto il controllo di tutte e due le estremità di Pennsylvania Avenue (della Casa Bianca e del Congresso, ndr) così come della agenda politica della nazione.
Non è stato sempre così. Per gran parte del secolo scorso, i democratici sono stati il partito che sosteneva una difesa forte e un internazionalismo muscolare, mentre i repubblicani sono stati spesso il partito dell’isolazionismo. I democratici hanno guidato l’America attraverso due guerre mondiali e sono stati gli architetti della nostra politica di contenimento nei confronti dell’Unione Sovietica. Dall’insistenza di Franklin Roosevelt sulla resa incondizionata della Germania nazista e del Giappone imperiale nella Seconda guerra mondiale, attraverso il rifiuto di Harry Truman ad accettare l’invasione nordcoreana della Corea del Sud o il tentativo sovietico di cacciare le potenze europee fuori da Berlino, fino al durissimo scontro di John F. Kennedy con Nikita Khrushchev durante la crisi dei missili a Cuba e alla legislazione pro difesa del senatore Scoop Jackson (il mentore democratico di alcuni dei più autorevoli falchi repubblicani), il partito democratico è stato all’altezza delle grandi sfide poste dai nemici del mondo libero.
La guerra del Vietnam ha spaccato in due i democratici, così come ha diviso la nazione, e all’inizio degli anni Settanta l’"ala pacifista" del partito ha preso il sopravvento. Fin da allora, i repubblicani non hanno dovuto fare grandi sforzi per ottenere successi elettorali, essendo sufficiente presentare una serie di democratici, da George McGovern a Michael Dukakis, come deboli sui problemi della difesa e ostili verso i militari. I nostri propri padri, il primo un veterano della Seconda guerra mondiale e il secondo di quella di Corea, si domandano entrambi cosa sia accaduto al vecchio partito democratico che aveva onorato il loro servizio e non si era mai tirato indietro da una battaglia quando era nell’interesse dell’America.
Persino quando abbiamo dato prova di tenacità e di lungimiranza come ha fatto il presidente Clinton ricorrendo alla forza militare per impedire la pulizia etnica nei Balcani non abbiamo veramente dato fiato alle nostre trombe. Per tutto il corso della campagna elettorale del 2000 i sondaggi hanno mostrato che Bush aveva una superiorità di tre punti su Al Gore riguardo alle questioni militari, nonostante il fatto che Gore avesse proposto una spesa per la difesa di 100 milioni di dollari superiore a quella indicata dal suo rivale repubblicano.
La vittoria di Clinton nel 1992 convinse molti democratici che il vantaggio dei repubblicani sulle questioni della sicurezza nazionale non aveva più importanza. Ma la campagna del 1992 ha rappresentato un’eccezione: l’elezione di Clinton è avvenuta nel contesto dell’euforia post Guerra fredda sulla "fine della storia", con i politici eccitati dalle prospettive di un "dividendo della pace".
I democratici devono ancora comprendere fino in fondo la nuova realtà del mondo post 11 settembre. Mentre la maggior parte degli americani ha visto la guerra in Iraq attraverso il prisma degli attacchi alle Twin Towers, molti autorevoli democratici non sembrano aver ancora afferrato il profondo senso di insicurezza che avvolge così tanta gente nel nostro paese. Questa mancanza di comprensione è particolarmente pronunciata tra le donne, che sono state una pietra angolare della forza del nostro partito e senza le quali non possiamo sperare di riguadagnare la Casa Bianca o il Congresso.
Il popolo americano è d’accordo con noi su molte questioni di importanza vitale, ma ritiene che noi democratici siamo deboli e indecisi quando si tratta di affrontare i dittatori e i terroristi, e la responsabilità essenziale del governo: difendere la nazione. Indipendentemente da quanto siano convincenti le nostre posizioni sull’economia, l’assistenza medica, la previdenza sociale, l’ambiente e la privacy, se gli elettori continuano a considerarci irresponsabili e deboli, il prossimo anno non ascolteranno i nostri messaggi e rieleggeranno Bush.
Mentre ci prepariamo a organizzare la nostra sfida per il 2004, sulla sicurezza nazionale noi democratici dobbiamo ritornare ai robusti principi di Roosevelt, Truman, Kennedy e degli altri democratici i quali compresero che soltanto affrontando le minacce all’estero il nostro partito può realizzare la sua grande missione di espandere l’uguaglianza, le opportunità e il progresso in patria.
Donna Brazile e Timothy Bergreen
Donna Brazile, già manager della campagna per Gore 2000, è una studiosa di strategie politiche e membro del board dei consiglieri della Fondazione per la difesa delle Democrazie, un think tank sul terrorismo. Timothy Bergreen lavorò per il Dipartimento di Stato con l’Amministrazione Clinton ed è fondatore di Democratici per la sicurezza nazionale.
Copyright The Wall Street Journal
(Traduzione Aldo Piccato)