Camillo di Christian RoccaLa guerra tra Pentagono e State Department

Washington. La battaglia di Baghdad è poca roba rispetto alla guerra in corso tra Donald Rumsfeld e Colin Powell, tra il Pentagono e il Dipartimento di Stato, tra due visioni alternative sui modi di proteggere l’America dalla minaccia terroristica. Dichiarata vinta Iraqi Freedom e in attesa della prossima tappa della war on terror, il fronte si sposta tra le due rive del Potomac. Rummy, un civile alla guida della più formidabile macchina bellica della storia, non sopporta Powell, un militare al comando della diplomazia americana. Anche il vice di Rumsfeld, Paul Wolfowitz, l’ideologo del neo interventismo democratico, non è in buoni rapporti con il vice di Powell, Richard Armitage, seguace della più tradizionale politica estera americana fondata sul contenimento e sul mantenimento dello status quo.
Non è una novità. Militari e diplomatici hanno sempre avuto visioni del mondo diverse e il Boston Globe ricorda le battaglie dentro l’Amministrazione guidata da Jimmy Carter tra il consigliere di Sicurezza nazionale, Zbigniew Brzezinski, e il segretario di Stato, Cyrus Vance. Così come gli anni al National Security Council di Henry Kissinger, nei quali si "mangiò vivo" il segretario di Stato William Rogers. Senza dimenticare gli scontri tra Caspar Weinberger al Pentagono e George Schultz a Foggy Bottom negli anni di Ronald Reagan. Ma ora sembra che la frattura sia diventata istituzionale, e basta andare a un party di Washington per accorgersi come anche fisicamente i gruppi siano divisi e non si rivolgano nemmeno la parola, da una parte i favorevoli a Rummy e dall’altra gli amici di Powell.
Le parole dell’ex speaker della Camera hanno ricevuto le più diverse reazioni, anche se in maggioranza sono state negative, perché se Powell va a Damasco e si impegna sul processo di pace in Medio Oriente certamente non lo fa di testa sua, ma in pieno accordo con il presidente. Eppure i sostenitori di Gingrich arrivano a definire il suo discorso come il più importante speech di politica estera degli ultimi 50 anni. Dal fronte opposto sono arrivate contumelie di ogni tipo, e non solo dagli uomini del Dipartimento di Stato, ma anche dall’ex candidato alla presidenza Jack Kemp e da esponenti dell’estrema destra come Pat Buchanan.
La partita si gioca su un punto cruciale, su quale sia il modo migliore per gli Stati Uniti di affrontare i problemi interni di sicurezza e poi quelli del mondo. Secondo il militare Colin Powell, c’è da ricercare l’accordo degli alleati e operare per contenere la minaccia con le armi della diplomazia. Secondo i civili del Pentagono, come lo è stato per i rivoluzionari della sinistra di un tempo, l’America ha un dovere morale di cambiare il mondo, piaccia o non piaccia al mondo stesso. Non è uno scontro tra destra e sinistra, né tra falchi e colombe, al Dipartimento di Stato ci tengono a far sapere che loro sono "warriors with words", guerrieri che usano le armi della parola. Più che altro sembra che i guerrieri del Pentagono confidino in un Medio Oriente libero e democratico, mentre i guerrieri di Colin Powell pensano che sia assolutamente irrealizzabile in breve termine.
Agli analisti lo scontro sembra pericoloso perché non si riesce mai a capire quale sia la posizione americana, visto che un giorno un paese è amico e il giorno dopo diventa nemico o viceversa. Questo, ha scritto il Washington Post, confonde sia gli alleati sia gli avversari, i quali non riescono a seguire i repentini cambiamenti tra gli sforzi diplomatici e la minaccia di un confronto duro.
La battaglia non è solo ideale. In Iraq il Pentagono affiderebbe ad Ahmed Chalabi l’onere di guidare politicamente il paese, mentre il Dipartimento di Stato e la Cia credono che il leader dell’Iraqi National Congress sia assolutamente inadeguato al ruolo. Anche la crisi nordcoreana ha messo a confronto le due visioni. Ma il punto cruciale è la road map, lì si vedrà quale delle due anime avrà prevalso. Ci saranno pressioni americane su israeliani e palestinesi come vuole Powell, oppure soltanto sui palestinesi come vorrebbero gli uomini di Rumsfeld? Il Boston Globe dice di "mettere le speranze nella prima ipotesi, ma di giocare i soldi sulla seconda". Comunque deciderà Bush.

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