Camillo di Christian RoccaNon si tratta con gli ayatollah

New York. I colloqui con gli avversari, finanche con i nemici, ci devono essere, sono utili e necessari per trovare una soluzione accomodata e pacifica ai problemi tra due paesi in conflitto dal 1979. I rapporti tra Stati Uniti e Iran, dalla rivoluzione islamica di Khomeini in poi, non sono mai stati facili. L’undici settembre ha ulteriormente complicato le cose, visto che George W. Bush ha inserito Teheran nella lista dei paesi dell’Asse del male, tra coloro che finanziano e promuovono il terrorismo internazionale contro l’America, Israele e l’Occidente. La nuova dottrina americana vuole che con l’Asse del male non si debba più trattare, ma l’applicazione non è così rigida e lo dimostrano gli incontri quasi segreti di Ginevra tra l’Iran e gli Stati Uniti.
La Casa Bianca non vuole condurre azioni militari contro tutti i paesi che sponsorizzano il terrorismo internazionale. Si decide caso per caso, tenendo però conto che di guerra al terrore si tratta. L’opzione militare è stata scelta per l’Afghanistan dei talebani e per l’Iraq di Saddam, per l’Iran la direzione è quella di far crollare il regime dall’interno, confidando nell’odio della popolazione nei confronti degli ayatollah e finanziando l’opposizione. Il senatore repubblicano Sam Brownback e il suo collega democratico Ron Wyden hanno presentato una risoluzione che i due sperano si trasformi in un Iran Democracy Act sul modello dell’Iraq Liberation Act di Clinton. L’obiettivo è chiaro, gli Stati Uniti si impegnino a sostenere la democrazia in Iran. L’idea è quella di finanziare Radio Farda, un’emittente che trasmette programmi condotti da americani di origine iraniana, e poi di aiutare le tv private che dagli Stati Uniti vogliano trasmettere informazioni e notizie e idee democratiche in Iran (al momento, ha detto il senatore Brownback, hanno mezzi per trasmettere solo due ore il giorno). L’America dovrebbe trovare i fondi per tradurre, pubblicare e diffondere libri, video e altri materiali in lingua persiana, in particolare per fornire agli iraniani gli elementi e le informazioni sulla creazione e sull’organizzazione di "movimenti non violenti".
Ieri anche Colin Powell, in visita a Mosca, ha confermato che Washington "al momento" non ha nessun piano di azione militare per fermare quel programma nucleare iraniano che gli Stati Uniti credono nasconda un progetto di sviluppo di armi atomiche. Powell ha chiesto alla Russia di fermare gli aiuti al programma iraniano, sostenendo che un paese ricco di petrolio come l’Iran, certo non investe sul nucleare per ottenere energia a uso civile. E sempre ieri, il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, ha accusato l’Iran di continuare a offrire rifugio a "esponenti di spicco di Al Qaida".
La sola idea che il rappresentante americano Zalmay Khalilzad, inviato del Consiglio di sicurezza nazionale, abbia incontrato gli alti funzionari iraniani, ha fatto infuriare i neoconservative, e in particolare Michael Ledeen, che tra i neocon è l’esperto di Iran. Ledeen in questi giorni ha scritto parecchi articoli (sul New York Sun, su National Review e sul National Post di Toronto) per spiegare che questa è una linea sbagliata: "Il problema non sono i colloqui in sé, ma quello che diciamo. Se usassimo gli incontri per fissare ultimatum, sarebbero utili. E invece non facciamo questo". Secondo Ledeen, il modello delle trattative è sempre lo stesso, e non funziona mai: gli americani dicono agli iraniani di aver scoperto i loro rapporti con il terrorismo e quindi spiegano che gli conviene cambiare comportamento, anche perché se lo faranno ne ricaveranno benefici. "Al Dipartimento di Stato ­ sostiene Ledeen ­ vivono in un mondo nel quale i paesi abbandonano le loro analisi strategiche dopo aver ascoltato le parole degli Affari esteri americani". Secondo Ledeen, le trattative servono solo agli iraniani, i quali cercano disperatamente qualche cenno che Washington consideri legittimo il regime, quindi intoccabile e al riparo da una politica di sostegno ai movimenti democratici, quel tipo di sostegno che gli americani diedero con successo all’opposizione serba e filippina.
Che le trattative di Ginevra al momento non abbiano portato benefici ne è testimonianza il viaggio del presidente Mohammad Khatami in Libano prima e in Yemen ieri. Secondo il New York Times le dichiarazioni di Khatami, "non indicano nessun segnale di disgelo con gli Stati Uniti". Il presidente iraniano ha negato che Teheran finanzi gli Hezbollah, "sono una realtà libanese" che ha combattuto "eroicamente" contro Israele costringendolo a ritirarsi dal Sud del Libano, e ha criticato l’America per le "idee intolleranti e fondamentaliste". I toni però erano più moderati del solito. Ma in attesa che si moderino del tutto, dicono i neocon, sarebbe bene aiutare quei deputati riformisti che in questi giorni minacciano di dimettersi contro la dittatura degli ayatollah, e dare una mano a quei sette studenti che mercoledì hanno fatto un sit-in davanti al Consiglio dei guardiani della rivoluzione. In attesa del grande sciopero nazionale previsto per il 9 di luglio.

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