New York. L’operazione regime change in Iran sta per iniziare. Il Pentagono sostiene un programma di massicce azioni di intelligence e di finanziamenti per abbattere la dittatura degli ayatollah, come unica strada per fermare le ambizioni nucleari, il sostegno al terrorismo e l’intrusione iraniana nella ricostruzione dell’Iraq. Nell’Amministrazione Bush ci sono riserve, specie al Dipartimento di Stato, ma Donald Rumsfeld pare deciso a far diventare il cambio di regime in Iran la politica ufficiale della Casa Bianca.
La guerra in Iraq e la nuova risolutezza americana sul Medio Oriente hanno messo paura al clero iraniano, tanto che la Repubblica islamica ha dato segnali di voler ristabilire relazioni amichevoli con Washington. Diverse fonti sostengono che sia tornato alla guida della politica iraniana una delle figure più importanti del regime, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, il quale ha inviato prima in Grecia e poi a Ginevra il suo fido Mohsen Rezaei a incontrare alti funzionari americani (non del Pentagono) per offrire una risoluzione della crisi. Fonti iraniane indipendenti sostengono che l’idea degli ayatollah e di Rafsanjani sia quella di sostituire Mohammed Khatami con una figura che possa apparire ancora più "riformista" agli occhi degli occidentali, pur rimanendo saldamente collegata ai guardiani della rivoluzione islamica. Si parla dell’ex ministro Ataollah Mohajerani oppure della stessa figlia di Rafsanjani, Faezeh Hashemi.
Al solito dentro l’Amministrazione americana c’è chi legge queste debolezze iraniane come il segno che il regime è ormai pronto a ravvedersi e a cambiare atteggiamento, ma dall’altra parte c’è chi la vede nel modo opposto e non crede che gli ayatollah possano improvvisamente diventare "buoni". Questi ultimi, con Rumsfeld in testa, sostengono che il nervosismo iraniano dimostri l’efficacia della nuova politica estera americana post 11 settembre, fermarsi adesso e accontentarsi del bicchiere mezzo pieno sarebbe da stupidi, piuttosto bisogna insistere fino ad aiutare gli iraniani a liberarsi definitivamente del regime.
Come ha scritto ieri il Financial Times, sia i falchi del Pentagono sia i mullah iraniani pensano di trovarsi esattamente nella stessa situazione di qualche mese fa in Iraq: "Uno Stato canaglia del Medio Oriente, con legami con al Qaida e un programma clandestino di armi nucleari, maturo per un regime change pro occidentale che possa trasformare la situazione strategica della regione".
Lunedì scorso gli oppositori iraniani riuniti nel National Council of Resistance of Iran hanno detto di avere le prove che il regime fondamentalista abbia messo in funzione due laboratori nucleari a Ovest di Teheran, ma il ministro degli Esteri ha sonoramente smentito. Gli Stati Uniti chiedono anche di consegnare Saif Al-Adel, uno dei capi di al Qaida responsabile degli attacchi di Riad. Il Dipartimento di Stato, così come ai tempi di Saddam, pensa che la carta migliore per ottenere il terrorista sia quella politica e diplomatica, mentre si affiderebbe all’International Atomic Energy Agency per fare pressioni sul programma nucleare.
Al Pentagono nessuno parla di operazioni militari, non ci sarà guerra all’Iran, piuttosto l’uso di tutti i mezzi necessari per far saltare il regime, compresi finanziamenti alle opposizioni democratiche, alle radio, alle tv e alla stampa indipendente. C’è anche l’idea, per ora soltanto un’ipotesi, di sostenere i Mujaheddin e Khalq (Mek), il gruppo militare anti ayatollah già finanziato da Saddam e che Bill Clinton mise nella lista dei gruppi terroristi come segno di distensione nei confronti di Teheran.
Il boicottaggio del voto, lo sciopero generale
Al Pentagono credono che la battaglia in Iran non sia tra i riformisti e i conservatori, come si crede per esempio in Europa, ma tra la popolazione iraniana e l’intero sistema. Prova ne siano il boicottaggio popolare alle ultime Amministrative di Teheran e lo sciopero generale convocato per il 9 luglio. Il paese, sostengono fonti iraniane indipendenti, avrebbe perso fiducia nei confronti del presidente Khatami, tanto che molti deputati riformisti potrebbero nei prossimi giorni dimettersi e non ripresentarsi alle prossime elezioni.
Il progetto del Pentagono, secondo la rete televisiva Abc, non è stato ancora approvato dal cosiddetto "consiglio dei vice", formato da Paul Wolfowitz del Pentagono, Richard Armitage del Dipartimento di Stato, da Steven Hadley del Consiglio di sicurezza nazionale e da un vice di George Tenet della Cia, ma è molto simile a una risoluzione bipartisan scritta dal senatore repubblicano Sam Brownback e dal suo collega democratico Ron Wyden.
L’Iran Democracy Act, ispirato all’Iraq Liberation Act che fece approvare Clinton per finanziare l’opposizione a Saddam, mercoledì ha ottenuto anche la firma del senatore liberal di New York, Charles Schumer, e di altri colleghi democratici. La proposta di legge è stata presentata anche al Congresso dal capogruppo democratico nella Commissione delle relazioni internazionali, Tom Lantos, e potrebbe presto diventare un emendamento all’interno dello State Department Authorization Bill, la legge che autorizza le spese e le priorità della politica estera americana.