Camillo di Christian RoccaBush e Israele

New York. George W. Bush forse si è pentito di aver interpretato per una volta il ruolo del presidente diplomatico, piuttosto che continuare a fare il presidente cowboy. Quando l’altro giorno ha criticato Israele per aver tentato di eliminare Abdel Aziz Rantisi, il mandante degli assassini-kamikaze di Hamas, definendola una mossa "non utile" alla causa della pace, certo non si aspettava che il giorno seguente Hamas potesse far saltare un autobus al centro di Gerusalemme uccidendo 16 israeliani innocenti. Eppure è successo. Ora il presidente diplomatico è costretto a fronteggiare la feroce critica della sinistra parlamentare americana che lo accusa di ipocrisia e di applicare il double standard, due pesi e due misure, nei confronti della lotta di Israele per la propria sicurezza. "Come possiamo prendere certe decisioni contro il terrorismo, ma se gli altri fanno esattamente la stessa cosa gli diciamo che non va bene?", ha detto Gary Ackerman, democratico di New York, alla commissione Relazioni internazionali del Congresso. Il deputato Robert Wexler, un democratico della Florida, riporta il New York Times, dice che l’uso israeliano della forza per proteggersi dalle bombe è stato "al 100 per cento giustificato". La stessa cosa ha dichiarato Tom Lantos, capo della delegazione democratica in Commissione: Israele ha il diritto di difendersi, Abu Mazen non è in grado di fare il suo lavoro e se i palestinesi non disarmano i terroristi è ovvio che dovrà farlo Sharon.
William Burns, che per il Dipartimento di Stato segue gli affari del Medio Oriente, di fronte alle critiche dei democratici ha riconosciuto che il premier palestinese dovrebbe fare di più per smantellare l’organizzazione terrorista, ma continua a essere fiducioso, e a credere che questo sia l’obiettivo di Abu Mazen. Martin Indyk, ex ambasciatore in Israele durante le Amministrazioni Clinton, non è convinto. A Usa Today ha detto che Bush deve prendere atto che Abu Mazen non è in grado di controllare gli estremisti e che il presidente dovrebbe considerare l’ipotesi di inviare l’esercito americano, magari sotto l’egida dell’Onu: "Bisogna farlo ­ ha detto ­ viceversa il processo di pace tornerà di nuovo nel dimenticatoio".
I giornali che più di altri hanno sostenuto la lotta al terrorismo, il New York Sun e il New York Post, con le stesse argomentazioni di Indyk avvertono Bush del rischio di fidarsi troppo di Abu Mazen, visto che a comandare è sempre Yasser Arafat. Ma non arrivano fino a invocare l’invio dei marines, come ha chiesto Indyk. Sostengono, piuttosto, che il tentativo fatto ad Aqaba sia stato prematuro, perché dopo aver liberato l’Iraq bisognava ancora fare qualche altro passo contro gli Stati che sponsorizzano il terrorismo. L’Iran, per esempio. Secondo il rapporto annuale sul terrorismo presentato ad aprile dal Dipartimento di Stato, Teheran finanzia, addestra e fornisce armi a Hamas e incoraggia i gruppi che vorrebbero cancellare Israele dalla carta geografica a "coordinare i loro piani e ad aumentare le attività terroristiche contro Israele".
A Chicago, al momento della notizia dell’attentato di Gerusalemme, Bush ha fatto un moderato passo indietro: "E’ evidente che c’è gente in Medio Oriente che odia la pace". E ha parlato esplicitamente della necessità di tagliare i finanziamenti a Hamas per riuscire nell’impresa di pacificare la regione.

Ma non perderà la loro fiducia
Le ultime prese di posizione del presidente su Israele, l’imposizione della road map e le critiche a Sharon, non sono piaciute alla comunità ebraico-americana. Storicamente le lobby pro Israele sono di sinistra e votano per i democratici. Per tradizione i repubblicani sono isolazionisti e preferiscono stare alla larga dai problemi del resto del mondo, specie dal Medio Oriente. Così alle elezioni del 2000, secondo il New York Sun, Al Gore prese il 79 per cento del voto ebraico contro il 19 andato a Bush. Nel 1980 Ronald Reagan conquistò il 39 per cento del loro voto, e gli analisti considerano quel risultato come un’anomalia.
Nel 2004 l’anomalia diventerà eclatante. Bush sarà il primo candidato repubblicano dai tempi di Warren Harding (1920) a conquistare la maggioranza dei voti ebraici. La campagna contro il terrorismo che l’Amministrazione Bush ha scatenato dopo l’11 settembre è stata decisiva, e non riuscirà a essere scalfita dalle ultime critiche a Sharon. La battaglia sul voto ebraico è pressocché chiusa, resta aperta quella per i finanziamenti della munifica comunità ebraica di New York. Gli assegni solitamente vanno ai democratici ma, secondo il New York Observer, al party del 23 giugno Bush raccoglierà la cifra record di 5,8 milioni di dollari in una sola serata.

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