Milano. Siamo sicuri che George W. Bush sia un conservatore, un reazionaro, un estremista o addirittura un fanatico? Secondo John Kerry, principale candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, "il programma dell’Amministrazione Bush non è il classico conservatorismo dei repubblicani, e non è neanche un conservatorismo radicale questi sono libertari incalliti". Libera traduzione da "extreme libertarianism". Secondo l’Economist sarebbe meglio usare la parola "neoradicali" per definire i neoconservatori che consigliano il presidente. Ancora. L’icona del rock impegnato socialmente, Bob Geldof, già inventore del Live Aid, ha detto al Guardian: "Nel suo approccio all’Africa, l’Amministrazione Bush è la più radicale, in senso positivo, dai tempi di Kennedy". Sulla lotta all’Aids, nuova crociata del cantante inglese, Bush ha preso decisioni importanti al contrario di Bill Clinton che parlava parlava ma poi non faceva granché. (Geldof ha usato un’altra espressione: "Clinton era un bravo ragazzo, ma mandava tutto a puttane"). In un forum pubblicato da Foreign Policy e dal Foglio, il leader del ’68 francese, Daniel Cohn Bendit, aveva dato di "rivoluzionario" a Richard Perle, mentre Andrew Sullivan ha dedicato un intero articolo sul Sunday Times per spiegare che Bush al confronto di Bill Clinton è un liberal.
Spesa pubblica? La presidenza Bush, in meno di due anni, ha portato il bilancio americano da un attivo di 167 miliardi di dollari a un passivo annuale di 400 miliardi. Certo c’è stato l’11 settembre, l’America è stata impegnata in due guerre (con cui il cosiddetto conservatore ha fatto fuori due regimi fascisti) e sono state tagliate le tasse per non sprofondare nella crisi ma, spiega Sullivan, anche senza le spese militari e quelle di sicurezza, il bilancio statale è aumentato del 6 per cento nel 2002 e di quasi il 5 nel 2003: "A questa Amministrazione piace spendere i soldi". L’ultima proposta di Bush è addirittura rivoluzionaria per l’America: medicine gratuite (o sussidi) per gli anziani. Di più. Le politiche sulle tariffe dell’acciaio sono state adottate in disaccordo con la dottrina global del Wto, e la Corte Suprema a maggioranza repubblicana ha confermato le affirmative action a favore delle minoranze etniche e costituzionalizzato i diritti delle coppie omosessuali.
Per Steven E. Schier, professore di Scienza della Politica, Bush è un "radicale con un progetto". La sua presidenza, ha scritto su The Hill, entrerà nella storia come una delle più politicamente ambiziose di tutti i tempi. Anche secondo Stephen Skowronek, professore a Yale, Bush è "un innovatore ortodosso" che cerca di adattare l’approccio reaganiano al ventunesimo secolo.
Esportare la democrazia
Il neodirettore del New York Times, Bill Keller, è stato il primo a scrivere che George W. non è figlio del primo presidente Bush, né un repubblicano tradizionale, ma piuttosto un radicale, un visionario, il vero erede di Ronald Reagan, il presidente che fece traslocare un bel po’ di liberal. Allora i Reagan’s Democrats si convinsero che i repubblicani costituivano una migliore garanzia per i valori americani e per le conquiste liberali, a fronte di una sinistra infatuata dal socialismo e non ancora uscita dal trauma del Vietnam. La dottrina Bush è l’esatta continuazione della dottrina Reagan, ha scritto Arnold Beichman, studioso della Hoover Institution. L’ex attore parlava di "impero del male", il cowboy di "asse del male", entrambi di democrazia da esportare, entrambi hanno fronteggiato critiche e pessimismi di ogni tipo. Analisti autorevoli prendevano in giro l’idea che la libertà potesse diventare il sistema politico dei popoli oppressi dal gigante sovietico.
Arthur Schlesinger jr. nel 1981 diceva che "coloro che pensano che l’Unione Sovietica sia sull’orlo del crollo economico e sociale prendono in giro soltanto se stessi"; Strobe Talbott su Time disse che gli Stati Uniti non avevano la "forza politica e militare" per far cadere il dominio sovietico nell’Europa dell’Est.
Sappiamo come è andata a finire. Con la cacciata dei talebani, poi dei saddamiti, le proteste iraniane, la paura siriana, gli imbarazzi sauditi e la battaglia dentro la leadership palestinese, l’idea rivoluzionaria di Bush sembra ben incardinata su quella strada. Se il progetto di Bush fallisse certo saranno guai, ma la sua presidenza non passerà alla storia per l’immobilismo e la conservazione. L’8 giugno del 1982, al Parlamento inglese, Reagan disse: "L’obiettivo che mi propongo è abbastanza semplice da spiegare: promuovere la democrazia, un sistema di stampa libera, di sindacati, di partiti politici e università. Questo non è imperialismo culturale, è fornire i mezzi necessari per un’autentica autodeterminazione. Dobbiamo essere fermi nella convinzione che la libertà non è la prerogativa di pochi fortunati, ma il diritto inalienabile e universale di tutti gli esseri umani". Concetti liberal, rivoluzionari, visionari e di sinistra. Gli stessi che usa Bush per spiegare il suo progetto in Medio Oriente.