Il miglior libro sull’attacco all’America lo fece Gianni Riotta per Einaudi. Si chiamava N.Y. 11 settembre, ed era la raccolta degli articoli che il giornalista palermitano aveva scritto per la Stampa. Quei racconti di normale vita newyorchese improvvisamente violata e quel diario scritto di getto e con ansia all’indomani dei massacri, erano quanto di meglio si potesse leggere per capire che effetto avrebbe avuto per l’America e per il mondo quel limpido martedì mattina di due anni fa. Oggi è sufficiente quel libro, accompagnato dallo splendido A Heart, a Cross and a Flag (WSJ Books) di Peggy Noonan, per chiudere la sezione della propria libreria dedicata allo shock di quei giorni. Da allora Riotta ha pubblicato un bel romanzo, Alborada (Rizzoli), ambientato tra un’isola siciliana e l’America, ed è passato al Corriere della Sera, per il quale ha seguito la guerra al terrorismo e la vicenda Iraq. I suoi articoli, un paio dei quali pubblicati da Foreign Policy e dal Washington Post (Riotta è l’unico analista italiano che conti qualcosa negli Stati Uniti, di recente è stato chiamato dal Congresso per una relazione sui rapporti transatlantici), sono stati raccolti nel volume "La I guerra globale" (Rizzoli). La forza di questo libro sta nel fatto che Riotta è uno dei pochi, le eccezioni stanno negli uffici newyorchesi della Stampa e di Panorama, a non aver raccontato l’America di Bush attraverso la lente dell’antiamericanismo. Non ha messo il pilota automatico per cui tutto si spiega perché gli americani sono ignoranti, avidi e ingenui e noi europei colti, generosi e cinici, né mai si è innamorato di tesi preconcette poi sbriciolatesi in un quarto d’ora. Metodo che Riotta applica anche sui temi della globalizzazione e delle biotecnologie (infatti è odiato a sinistra). Gli articoli di Riotta però hanno un difetto grave, non sono riusciti a modificare la linea insolitamente antiatlantica in cui era stato trascinato il Corriere.
2 Agosto 2003