Roma. Marco Pannella toglie il foglio bianco che copre la scritta nera, e legge: "La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda e proposta". E’ il quarto comma dell’articolo 681 del nuovo Codice di procedura penale, quello del 1989: l’articolo regola la procedura per arrivare alla concessione della grazia, innova la normativa precedente chiarificandone la lettera e, secondo Pannella, "libera il campo da mesi di pseudo dibattito politico intorno al caso Sofri". Restituisce al presidente della Repubblica la parola definitiva, in base a quel potere che la Costituzione, all’articolo 87, gli assegna.
Questo intende Pannella per legalità, per rispetto del diritto positivo, questa è una delle domande a cui chiedeva risposta con lo sciopero della fame: non chiedeva e non chiede tuttora la grazia, ma una chiarificazione sul potere o meno del presidente Ciampi di concederla "motu proprio": "Premesso che non ho assolutamente avuto contatti diretti o indiretti con il presidente della Repubblica negli ultimi mesi né su questo né su altri temi, affermo di sapere che auspica fortemente non da oggi di poter concedere la grazia ad Adriano Sofri" dice, ed effettivamente la posizione di Ciampi è da tempo nota. Altrettanto quella del ministro Guardasigilli, che il mese scorso fece sapere attraverso un articolo pubblicato sulla Padania di non avere intenzione, dopo lunga riflessione, di "proporre" la grazia per Sofri al presidente. Di lì a poco un comunicato dell’Ufficio giuridico del Quirinale, del 18 luglio scorso in cui, "a proposito delle richieste per la concessione della grazia ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi" si precisava che "non esiste nel nostro ordinamento un potere autonomo di grazia del capo dello Stato: come per gli altri atti del presidente della Repubblica, anche per la concessione della grazia è indispensabile a norma dell’articolo 89 della Costituzione la proposta del ministro competente". Da quel 18 luglio, più nulla. Pannella recita uno sdegno divertito e dice che "evidentemente c’è chi inganna il presidente", perché quell’articolo del Codice di procedura penale "è inequivocabile" (e inoltre allarga la possibilità di proposta di grazia al presidente del Consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario), e perché l’innovazione del 1989 fu commentata dalla dottrina proprio nel senso di rendere indiscutibile il potere del presidente della Repubblica di concedere autonomamente la grazia. "Di che cosa si è parlato fin adesso, è finalmente chiaro".
Pannella inoltre ricorda che pochi giorni fa il ministro Castelli aveva dichiarato il Foglio l’aveva riportato ieri a chi gli chiedeva che cosa pensasse personalmente della domanda di grazia di un detenuto: "Io non devo pensare, devo istruire le pratiche e trasmettere gli atti al capo dello Stato, cui spetta il compito di decidere". "In fatto di grazia aveva concluso il Guardasigilli io e i miei collaboratori siamo al servizio del presidente Ciampi". Questo però non significa che non esistano problemi di ordine tecnico: l’articolo 89 della Costituzione, norma generale di una fonte sovraordinata, prevede che "nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri", e certo, come spiegava ieri al Foglio Giuseppe Di Federico, membro laico del Csm, la controfirma del Guardasigilli a un decreto presidenziale di grazia non può essere considerata atto dovuto. Ma atto di "correttezza e opportunità istituzionale" sì, come ha spiegato il presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Giustizia Giuliano Vassalli, secondo il quale "su questo punto è il ministro che deve cedere, facendo omaggio a quello che è il contenuto della Costituzione, superiore certamente alla legge ordinaria". C’è inoltre un precedente in questo senso, una grazia concessa "motu proprio" dal presidente della Repubblica (era il 1965, il presidente era Saragat e vigeva ancora il vecchio Codice di procedura penale che lasciava aperto il problema) a un cittadino jugoslavo senza che fosse stata presentata alcuna domanda o proposta. "Ed è dal 1999 aggiunge Pannella che il Guardasigilli non si chiama più ministro di Grazia e giustizia".
Secondo il leader radicale adesso il campo "della praticabilità immediata" della concessione della grazia a Sofri è sgombro da elementi di confusione, si tratta invece di rispondere "scientificamente" alla seconda domanda sulla legalità: se l’eventuale protrarsi della detenzione di Sofri e di altri in condizioni riconducibili alle sue sia ancora necessario, opportuno o compatibile con il nostro diritto positivo. O sia invece illegittimo. Pannella tiene a rassicurare Sofri: "Si tranquillizzi, perché non c’è nessun interesse da parte nostra a privilegiarlo, ma solo la necessità di far vivere la giustizia". E quando la detenzione castra la possibilità del detenuto di produrre ricchezza, allora, dice Pannella, non c’è giustizia.
20 Agosto 2003