La
prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 9 settembre, avrebbe
potuto aprirsi con "Mubarak: la road map si può salvare",
ma non è successo. Quello era il titolo del Corriere,
giornale repubblicano-ma-non-republicones che ormai ha soffiato
a Rep. il ruolo di guida civile del paese oltre a Magdi Allam
(di Khaled Fouad Allam, invece, non ne vogliono sapere). Il quotidiano
di Ezio Mauro, detto anche Al Jamurya, nel Mese III della Nuova
Era Gregaria, non aveva l’intervista al presidente egiziano e
quindi ha dovuto ripiegare su un soffietto al presidente dell’Ue,
Romano Prodi: "Prodi: infamie su Telekom". Non è
chiaro se Prodi ce l’abbia anche con Rep., che per prima scoperchiò
l’infamia. Altro titolo: "Su giornali e tv campagna senza
precedenti contro di me", anche se non risulta che il magazine
del Cav. abbia titolato "Forza Igor", come il "Forza
Ilda" del settimanale del Carl. Gli articoli di Marco Marozzi
e di Andrea Bonanni sono del genere "doppio slurp mr. president".
Quello di Bonanni in più si contraddice. All’inizio scrive
che "Prodi aveva accennato personalmente a Berlusconi"
che sarebbe stato meglio "non buttare fango alla cieca".
E va bene. Subito dopo però scrive che Prodi ha "aspettato
pazientemente per tutta l’estate che il messaggio arrivasse a
destinazione". A destinazione? E di chi? A chi avrebbe dovuto
riferire il Cav.? A Totò Riina? A Mariano Apicella?
Fenomenale l’intervista di Maria Pia Fusco a Gillo Pontecorvo,
al quale chiede un commento sul suo film "La battaglia di
Algeri" proiettato al Pentagono per studiare le tecniche
di guerriglia urbana. L’ultima domanda di Mpf è di quelle
che solo il Cav. allo Spectator saprebbe definire: "Nel
film c’è anche la tortura. Se venisse usato per ispirarsi
ai metodi francesi?". Pontecorvo non può far altro
che rispondere: "Spero che non sia così". Titolo
di Rep: "I generali Usa studiano il mio film spero non imparino
le torture". Un giornalismo di qualità.
Caso Serra Michele, l’umoralista e teorico della Difesa della
Razza e della Differenza Antropologica tra l’uomo di sinistra
e il resto del mondo. Ieri, con eleganza, ha definito Raffaella
Carrà "una lavatrice".
Infine Zuccopycat. Ha raccontato una storia che l’Observer ha
ripreso da Esquire, ma l’ha sintetizzata male, molto male. Ha
centrato il suo articolo sulla "ossessione del blow up per
identificare l’amico dei 10 secondi", l’immaginifico modo
di Zuccopycat per descrivere il rapporto tra un fotografo, autore
di una foto simbolo dell’11 settembre, e l’uomo ritratto dal
suo obiettivo che preferì lanciarsi nel vuoto piuttosto
che morire bruciato. Zuccopycat racconta che il fotografo ha
passato mesi a cercare di dare un nome alla vittima. Ma nell’articolo
dell’Observer da cui ha copiato male, la persona che cerca di
identificare la vittima non è il fotografo, che in realtà
dopo qualche riga scompare, ma un giornalista canadese. L’intero
articolo di Zuccopycat è farlocco.
Gli altri errori passano in secondo piano: secondo Zuccopycat
una donna avrebbe detto "Non può essere mio figlio",
invece nell’originale dice "Sì, può essere
mio figlio". La vittima, secondo Zuccopycat, è Alberto
Hernandez. Ma si chiama Norberto, come Bobbio. E così
via. Però, va detto, nonostante sia falso, il racconto
di Zuccopycat è molto più bello dell’originale.
(continua)
10 Settembre 2003