Al solito, non ci facciamo una bella figura. Ed è la seconda volta che i giornalisti stranieri si occupano delle due inviate Rai a Baghdad, Lilli Gruber e Giovanna Botteri, osannate in patria, un po’ meno all’estero. John Burns del New York Times, di gran lunga il miglior inviato nella capitale irachena durante la guerra di liberazione, ha raccontato agli autori di un libro che esce alla fine di questa settimana in America, "Embedded: the Media at War in Iraq, an Oral History" (Lyon Press), i maneggi, le falsità e la "corruzione" (ha usato anche questa parola) tra i giornalisti internazionali di stanza a Baghdad. Burns, esperto di Stati totalitari, fin dal suo arrivo ha capito che l’Iraq era di "una categoria a parte". Eppure, spiega, "la verità non veniva raccontata dalla stragrande maggioranza dei corrispondenti, i quali pensavano che l’unico modo di restare a Baghdad fosse quello di far finta che tutto andasse bene". C’erano giornalisti conniventi, racconta il 58enne inviato del New York Times, "che pensavano fosse corretto cercare l’approvazione del ministro dell’Informazione e del direttore del ministero". Il modo era semplice: "Portarli fuori a cena, offrirgli dolciumi, telefoni cellulari da 600 dollari ciascuno per le loro famiglie e pagare tangenti di migliaia di dollari. I funzionari del ministero svela Burns si sono presi centinaia di migliaia di dollari di tangenti da questi corrispondenti tv".
Ovviamente costoro non hanno mai raccontato di non essere liberi né di essere seguiti ovunque da uno spione. Ovviamente non hanno mai menzionato i crimini del regime. Il libro, e poi vedremo come e perché riguarda anche una delle nostre corrispondenti, esce nel bel mezzo della polemica scatenata dalla star della Cnn, Christiane Amanpour, moglie dell’ex portavoce del Dipartimento di Stato clintoniano che oggi accusa l’Amministrazione Bush di aver imbavagliato e influenzato la stampa libera. Effettivamente lei stava meglio prima.
Burns, che scrive per un giornale che si è schierato contro l’intervento in Iraq, racconta un’altra verità. Un suo collega, inviato da "uno dei più importanti quotidiani americani", stampava da Internet e faceva le fotocopie degli articoli suoi e dei concorrenti, compresi quelli di Burns, per far notare ai funzionari iracheni la differenza tra i suoi servizi e quelli degli altri: "Voleva dimostrare quanto fosse un bravo ragazzo rispetto a questo nemico dello Stato", ha detto Burns.
Qualche mese fa, Eason Jordan della Cnn scrisse un articolo sul New York Times ammettendo l’autocensura dei corrispondenti Cnn a Baghdad. Jordan si era giustificato adducendo ragioni di sicurezza per il personale iracheno del network. Burns spiega quanto fosse assurda questa spiegazione: "E’ ovvio che dobbiamo proteggere chi lavora per noi, non svelando le cose terribili che ci raccontano. Ma le persone che lavorano per noi sono soltanto una piccolissima parte del popolo iracheno. E allora perché non raccontare le storie degli altri iracheni? Il fatto che non parleremo di come il fratello del nostro autista è stato assassinato non ci impedisce di raccontare il terrore e l’omicidio di massa".
A febbraio a Burns fu negato il visto, al contrario di molti suoi colleghi così "impegnati a leccare i piedi" da aver "omesso di raccontare che l’Iraq è uno Stato del terrore". L’inviato del Times, infine, ottenne uno strano visto "per seguire il movimento pacifista", ma il primo aprile fu arrestato perché, dopo una segnalazione ricevuta da Washington, aveva avvertito il ministero dell’Informazione di sgombrare l’edificio che da lì a poco sarebbe stato bombardato. Gli iracheni si convinsero che fosse una spia della Cia, non capivano che Burns era "cittadino di uno Stato che si preoccupa di evitare vittime".
I funzionari dei servizi di Saddam lo reclusero nella sua stanza d’albergo, gli presero 200 mila dollari e tutto quello che c’era da rubare, e gli intimarono di non lasciare la stanza. Burns pensava che ci fosse una guardia, ma di notte si accorse che non c’era nessuno. Così decise di fuggire. Sul pianerottolo Burns incontrò una sua amica, "una corrispondente della televisione italiana". Burns racconta che lei, quasi certamente Giovanna Botteri, lo ha invitato nella sua stanza, dove sarebbe stato al sicuro: "Qui non verranno". Burns ne era certo: "Lei è un’ex comunista italiana che non li aveva sfidati". Ecco il paradosso, spiega Burns, "in un momento critico sono stato salvato da una vecchia amica che non li aveva sfidati". Il giorno dopo, grazie alle entrature della giornalista italiana, Burns è riuscito a organizzare un incontro con il generale Uday Al-Tayyib, il direttore del ministero dell’Informazione.
Questo racconto fa il paio con quello del Figaro di Parigi e del Daily Telegraph di Londra all’indomani della liberazione di Baghdad. I comandanti americani erano appena arrivati all’albergo Palestine per salutare i giornalisti, quando "una star della televisione italiana, che fino a pochi giorni prima era stata amichevole con l’ex capo dell’ufficio stampa iracheno, urlò con tono arrabbiato che ‘l’opinione pubblica vi considera invasori. Che cosa avete da dire?’. Il militare rispose a Lilli Gruber (la star non può che essere lei) di avere avuto impegni tali da non aver potuto guardare la tv: "Abbiamo combattuto duramente per arrivare qui. Ma abbiamo visto gente che festeggiava il nostro arrivo a Baghdad".
John Burns dice che i direttori dei giornali e dei tg devono esigere dai loro corrispondenti l’obbligo di raccontare la verità da quei posti dove sono inviati. Siamo privilegiati, scrive Burns. Abbiamo soldi, e siamo qui per nostra scelta. Andiamo in prima pagina o in prima serata, e alla fine ci danno un sacco di premi: "Presentarsi come eroi è completamente e totalmente falso".
"Ora spiega Burns sappiamo che l’Iraq era molto più terribile di quanto pensassimo. Era una cosa simile al male assoluto". Bush ha scelto di argomentare la guerra principalmente con il pericolo delle armi di distruzione di massa, "ma questa guerra poteva essere giustificata in qualsiasi momento per la violazione dei diritti umani". Se solo qualcuno le avesse raccontate.
17 Settembre 2003