In America si può essere clintoniani, anzi alti dirigenti delle Amministrazioni Clinton, e raccontare la nuova politica estera americana post 11 settembre come una cosa seria. Ivo H. Daalder e James M. Lindsay, ex membri del National Security Council e oggi autorevoli studiosi del più prestigioso think tank liberal, la Brookings Institution, hanno appena pubblicato "America Unbound – The Bush Revolution in Foreign Policy" (America senza confini – La rivoluzione di Bush in politica estera). I due studiosi non sposano la tesi bushiana, credono anzi che l’unilateralismo sia un errore, ma raccontano e analizzano la nuova dottrina di politica estera in modo equo e corretto. Bush non è stato plagiato dalla cricca dei neoconservatori, spiegano i due analisti. I neocon, poi, non sono dei fascisti o degli irresponsabili, ma gente seria che sarebbe meglio definire "imperialisti democratici". Daalder e Lindsay raccontano come Bush da politico digiuno di affari esteri (ma, scrivono, non meno digiuno del governatore dell’Arkansas, Bill Clinton) sia diventato un presidente che ha elaborato una nuova dottrina. Intanto smontano le leggende metropolitane sulla scarsa intelligenza di Bush. I suoi voti universitari, spiegano, erano simili a quelli di Al Gore e notevolmente superiosi a quelli di altri candidati considerati dei fini intellettuali. Già durante la campagna elettorale Bush aveva messo su un dream team, chiamato il Vulcano, con grandi esperti di politica estera, da Condoleezza Rice, ex iscritta ai Democratici e advisor della campagna presidenziale di Gary Hart, a Paul Wolfowitz intellettuale neocon e membro delle Amministrazioni Ford, Reagan e, udite udite, anche Carter. Con loro c’erano anche l’ex Democratico, Richard Perle, e Richard Armitage, grande amico di Colin Powell e futura colomba dell’Amministrazione. Bush è uno che decide, che sa assumersi le responsabilità, che non teme di chiedere a chi ne sa più di lui consigli e spiegazioni. Quel lavoro svolto dal Vulcano, scrivono i due autori, è servito all’indomani dell’11 settembre quando Bush si è convinto della necessità di portare la battaglia sul campo dei terroristi: "Abbiamo bisogno di combattere oltremare, portando la guerra dove ci sono i cattivi". L’idea-base è che la miglior difesa è l’attacco.
21 Ottobre 2003