Camillo di Christian RoccaLa sinistra che ragiona come i neocon

Ora che se ne è accorto anche il New York Times è possibile che cambi il vento anche sui giornali nostrani: i neoconservatori non sono dei mostri dell’estrema destra americana, non sono fascisti reazionari piduisti. Sono intellettuali di cultura e formazione di sinistra, disillusi dal velleitarismo della left ufficiale. Domenica, sulle pagine del Week in Review del New York Times, James Atlas ha spiegato ai lettori americani, e si spera che tra essi rientrino i corrispondenti dei giornali italiani, come oggi stiamo assistendo a un fenomeno simile a quello accaduto ai tempi della guerra in Vietnam. Allora, scrive Atlas, un gruppo di intellettuali liberal ruppe il fronte antiguerra e spiegò come l’intervento in Vietnam fosse razionale e convincente. L’intervento serviva a bloccare l’avanzata del comunismo, a fermare l’effetto domino della rivoluzione marxista. Ora, spiega il New York Times, sta succedendo la stessa cosa con un nucleo di pensatori liberal e di sinistra che fin dall’inizio si è schierato a favore dell’intervento in Afghanistan e in Iraq, pur mantenendo forti riserve nei confronti di George W. Bush. Sono nomi già noti ai lettori di un piccolo quotidiano d’opinione: Paul Berman, autore di Terror and Liberalism, Michael Walzer, direttore di Dissent e autore con Maurizio Molinari di La Libertà e i suoi amici, Christopher Hitchens, saggista e polemista inglese, e Michael Ignatieff, filosofo e direttore del Carr Center alla Harvard Kennedy School of Government. L’articolista del Times fa un po’ di confusione, i neocon in realtà erano contrari alla guerra in Vietnam, molti di loro chiesero per anni il ritiro delle truppe, mentre il solo Irving Kristol, pur contrarissimo all’intervento, non condivise le richieste di ritiro perché sarebbe stata un’umiliazione troppo grande per l’America. E’ vero, però, che i neoconservatori per lungo tempo si sono sentiti di sinistra, liberal riformati e non conservatori. Scrive il Times: "Un neoconservatore è uno che ha letto e poi ripudiato Marx". Allo stesso modo, gli intellettuali di sinistra che oggi approvano la campagna di liberazione del Medio Oriente pensano che lottare contro le dittature sia una cosa di sinistra. Secondo Berman il terrorismo è una nuova forma di totalitarismo e la guerra in Medio Oriente una guerra per difendere la civiltà liberale: "Bush è il peggior presidente di sempre, ma cacciare Saddam è stata una cosa cosa buona, e dovremmo impegnarci perché diventi un successo e non un fallimento". Michael Ignatieff, sei mesi dopo l’intervento non ha cambiato idea: "Preferite avere Bremer a Baghdad o Saddam Hussein? Per me la chiave è quale sia il miglior risultato per la gente irachena in termini di miglioramento dei diritti umani". Christopher Hitchens, tra tutti, è il più di sinistra ma è stato, ed è ancora, uno dei più entusiasti dell’operazione irachena. Michael Walzer, invece, è stato il più ambiguo, anche se ha aperto il suo giornale alle opinioni della sinistra interventista e dall’11 settembre non fa altro che criticare ferocemente la rigidità della sinistra cosiddetta pacifista. Costoro, conclude l’articolo del New York Times "nonostante sulla guerra in Iraq abbiano molti atteggiamenti diversi da quelli dei neocon contemporanei come William Kristol e Robert Kagan, sono eredi della stessa tradizione intellettuale. Cosicché: possono ancora essere definiti liberal oppure sono diventati dei neoconservatori?".

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