Roma. La combinazione tra l’11 settembre, un’Amministrazione americana che ha scelto le ricette neoconservative per sconfiggere il terrorismo, l’allargamento dell’Unione europea e un governo gollista in Francia ha prodotto il grande cambiamento nelle relazioni transatlantiche, tra l’Europa e gli Stati Uniti, cui stiamo assistendo. Il tema, come è noto ai lettori del Foglio, è stato affrontato di petto e senza infingimenti dal saggio di Robert Kagan che invitava americani ed europei a prendere atto del fatto che gli interessi dei due partner sono ormai divergenti. Su entrambe le sponde dell’Atlantico il dibattito si alimenta quotidianamente. L’ultimo libro è di Charles Grant, del Centro per la riforma europea di Londra, dal titolo "Frattura transatlantica: come rimettere insieme le due parti", che invoca la riappacificazione a cominciare dalla delicata questione del regime degli ayatollah iraniani.
Ieri il Wall Street Journal ospitava un’opinione di Amir Taheri sull’assenza di una politica estera francese "nascosta dietro un gesticolio antiamericano che ha diviso Onu, Europa, Nato e G8 senza però offrire una credibile alternativa alla Dottrina Bush". Da un paio di settimane il Figaro ha aperto le sue pagine a una serie di contributi "sulla complessità e la fragilità delle relazioni euro-americane". Secondo il filosofo Peter Sloterdijk, la frattura può essere ricomposta solo con "la frivolezza dei vinti", cioè degli europei, la cui "leggerezza ed eleganza potrà salvare gli americani dalla loro serietà".
Domani e sabato se ne discuterà anche a Roma, all’interno di un seminario organizzato dalla sezione italiana dell’Aspen e dalla New Atlantic Initiative dell’American Enterprise Institute, una delle centrali del pensiero neocon. Conviene a tutti sostengono che americani ed europei cooperino e si consultino per raggiungere gli obiettivi comuni come il rafforzamento della Nato, l’ingresso delle giovani democrazie europee nell’Unione e la creazione di una grande area di libero scambio.
Roberto Menotti, il ricercatore di Aspen che con Marta Dassù e gli americani ha svolto il lavoro preparatorio del convegno, spiega che "l’obiettivo è di identificare i punti di consenso possibili e portare avanti le ipotesi di dialogo, senza per questo far finta che non ci siano dei problemi". Proprio per questo sono stati scelti come interlocutori l’American Enterprise e i neoconservatori: "E’ giusto che l’Europa si confronti con loro, perché in questo momento sono gli ispiratori della politica estera americana. L’agenda della conferenza è stata concordata con loro che verranno a ribadire le loro tesi, ma con uno spirito costruttivo e concreto". Si parlerà della "sfida democratica in Medio Oriente", della "legittimità internazionale, tra le Nazioni Unite e la coalition of the willing", del rapporto tra il capitalismo sociale e quello liberista e del ruolo della Nato.
Il sottosegretario Bolton e gli altri
La presenza americana è di altissimo livello. A rappresentare l’Amministrazione Bush c’è il sottosegretario neocon al Dipartimento di Stato, John Bolton. Poi tutto il vertice dell’American Enterprise, dal presidente Christopher DeMuth alla vicepresidente Danielle Pletka, studiosa di politiche estere e di difesa che pur essendo molto dura con l’atteggiamento europeo post 11 settembre sostiene che "gli Stati Uniti hanno bisogno dei loro alleati" e che "le critiche americane all’Europa dimostrano la profondità della relazione transatlantica, non la sua debolezza". Ci saranno anche altri analisti più volte presenti sulle colonne del Foglio, da Reuel Marc Gerecht a Michael Ledeen a Richard Perle, e poi John O’Sullivan, ex consigliere della Signora Thatcher e neo direttore di The National Interest, la rivista di politica estera della destra realista americana; e Gary Schmitt del Project for the New American Century, cioè del think tank che da anni sostiene la necessità di esportare la democrazia in Iraq e in Medio Oriente.
Il punto è che gli interlocutori europei invitati al convegno, per quanto di alto lignaggio, non rappresentano una posizione unica e non potranno dare risposte coerenti alle domande americane. Ci sarà il rappresentante europeo per la politica estera, Javier Solana, e un’alta e numerosa rappresentanza del governo italiano, oggi alla guida della presidenza Ue. Con Franco Frattini ci saranno anche la collega spagnola Ana Palacio, l’ex commissario Emma Bonino e vari premier e parlamentari della Nuova Europa. Nessuno di loro potrà rispondere in modo univoco alle bacchettate di Gerard Baker, l’editorialista del Financial Times che su Weekly Standard e Foglio ha tuonato contro il nuovo super Stato europeo.
Dice Michael Ledeen: "Non vedo una particolare frattura tra Usa ed Europa, facciamo questi convegni e queste discussioni con alcuni amici europei da quando è crollato il Muro. A noi conviene una Europa forte, che abbia una politica coerente e un esercito moderno. L’euro ci piace. L’unica novità è che finché ci sarà Chirac all’Eliseo, noi non potremo più avere rapporti con i francesi".