C’è un paradosso nel dibattito intellettuale sulle scelte americane post 11 settembre, specie qui in Europa. Una volta chi voleva sconfiggere le dittature e battersi per il progresso civile e democratico era considerato un visionario di sinistra, ovviamente della sinistra liberale. I sostenitori dello status quo, invece, cioè quelli che-chi-se-ne-frega dei popoli oppressi, l’importante è che ci sia un regime autoritario e stabile con cui fare affari e garantire i propri interessi, erano i pragmatici realisti di destra (o comunisti, ma questa è un’altra storia). Oggi i nuovi idealisti, sia pur temperati dalla realtà, sono i neoconservatori americani, quel gruppo di intellettuali liberaldemocratici che da trent’anni crede che la sinistra ufficiale sia stata sequestrata da uomini e idee illiberali e radical chic. I nuovi realisti, invece, sono i partiti politici della sinistra europea, con l’eccezione di Tony Blair. Questo saggio di John Hulsman di cui pubblichiamo ampi stralci ne è la dimostrazione. Esce oggi su Aspenia, la rivista di geopolitica diretta da Marta Dassù, ex consigliere di politica estera a Palazzo Chigi quando al governo c’erano Giuliano Amato e Massimo D’Alema.
La critica di Hulsman ai neoconservatori è di destra, di segno realista. Per semplificare: è come se queste parole uscissero dalla bocca di Henry Kissinger. Eppure se le confrontate con le tesi dei leader politici della sinistra europea, e intendo della sinistra non antagonista, sono molto più che simili. L’analisi di Hulsman ha il merito di spiegare al lettore europeo esattamente questo: da una parte ci sono i neocon, dall’altra quelli che lui chiama "i realisti tradizionali". Hulsman, ovviamente, non fa l’errore di descrivere i neoconservatori come un gruppetto di golpisti. Sostiene, però, che "l’idea di trapiantare artificialmente i valori democratici in territori stranieri, spesso ostili, è legittimamente radicata nella nozione che la democrazia liberale sia la migliore e più giusta forma di governo". E’ esattamente questo il punto: la democrazia è o non è la migliore e più giusta forma di governo? E o non è la più potente arma di protezione di massa dell’Occidente?
Secondo Hulsman, così come per i leader della sinistra europea, i neocon "mostrano chiaramente di non capire cosa sia, sostanzialmente, la democrazia: non si può costringere un individuo, e ancor meno una nazione, alla libertà". Se lo fai, quella nazione e quell’individuo ti considerano un nemico, dice. Non si capisce perché a sostegno di questa tesi, Hulsman porti l’esempio delle elezioni algerine che videro vincere gli islamisti. Lì non ci fu alcuna costrizione, la costrizione ci fu in Europa e in Giappone, alla fine della Seconda guerra mondiale. E pare abbia funzionato.
L’alternativa è farsi piacere i regimi corrotti e antidemocratici come l’Egitto e l’Arabia Saudita, cosa che a Hulsman in effetti piace. Sono davvero i paesi più filoamericani, come sostiene su Aspenia? Questa idea ha funzionato per quarant’anni, soprattutto in funzione antisovietica. Dal crollo del Muro si è arrivati al crollo delle Torri. Banalmente: bin Laden e i dirottatori dell’11 settembre erano sauditi ed egiziani. Hulsman sostiene che l’esportazione della democrazia in Iraq vada "a vantaggio dell’Iran". D’accordo, ma temo che Hulsman si riferisca agli ayatollah mentre io penso agli iraniani che così se ne libererebbero. Spero sia prematuro "il requiem per i neocon" intonato da Aspenia. Non tanto per noi, in fondo scrivere che "non è vero che esportare la democrazia sia sempre e comunque negli interessi americani" può anche essere corretto. Il punto è che esportare la democrazia è soprattutto nell’interesse di chi non ce l’ha.
7 Novembre 2003