Camillo di Christian RoccaI nuovi rivoluzionari

I neoconservatori sono la grande novità del pensiero politico americano post 11 settembre. Non che siano nati due anni fa, tutt’altro. C’è, però, che solo l’attacco alle Torri gemelle ha convinto George Bush ad avvalersi delle loro tesi, elaborate nei migliori centri studi e già applicate con successo ai tempi di Reagan. Bush era stato eletto su una piattaforma di politica estera isolazionista, opposta a quella visionaria ed egemonica dei neocon, tanto che molti di loro alle primarie votarono John McCain, il suo rivale repubblicano, mentre altri scelsero il democratico Al Gore, considerato il falco dell’Amministrazione Clinton e uno dei teorici del diritto di ingerenza democratica negli affari interni di un altro paese.
Sui giornali italiani da qualche mese si è cominciato a parlare di questa cricca di pensatori e di politici che, secondo le critiche, avrebbe "dirottato" la politica estera americana dalla rotta tradizionale. Gli accenti sono spesso macchiettistici, e le analisi lontane dalla realtà. Intanto la politica estera caldeggiata dai neocon è tipicamente americana, risale al presidente democratico Woodrow Wilson, a Theodore Roosevelt e se ne trovano tracce in Kennedy e in Clinton oltre che in Reagan. I neocon sarebbero, dicono i critici, un gruppo di guerrafondai di estrema destra, amici di Sharon e con le mani in pasta ovunque. Una lobby a metà tra il fascismo e la P2. Le librerie sono zeppe di saggi sull’impero americano, con i neocon nel ruolo del lupo cattivo.
Ora se ne occupa anche un’importante casa editrice, la Feltrinelli, che ha pubblicato un saggio breve e un’antologia di scritti tratti dalla prolifica pubblicistica neocon. Il libro si intitola "I nuovi rivoluzionari ­ Il pensiero dei neoconservatori americani" (171 pagine, 10 euro), ed è curato dall’americano Jim Lobe e dall’italiana Adele Oliveri. Fin dal titolo si intuisce che non si tratta di un libro demonizzatorio, anzi viene riconosciuta loro la targa di "rivoluzionari". Ovviamente non è neanche un libro favorevole alle tesi di quelli che comunque vengono definiti "gli architetti del mondo". E’ un’analisi onesta e corretta della storia e del pensiero dei "nuovi rivoluzionari". Utile, fino a un certo punto, per capire la genesi di questa fase della politica estera americana.
Il libro contiene testi di autori che i lettori del Foglio conoscono a menadito: Robert Kagan e William Kristol, Michael Ledeen e Richard Perle, Max Boot e Reuel Marc Gerecht, Daniel Pipes e Charles Krauthammer. Editorialisti del Washington Post e di Weekly Standard, del Wall Street Journal e della National Review. La scelta dei testi è oculata, i temi sono quelli del ruolo geostrategico degli Stati Uniti, della nuova dottrina militare, dei rapporti con la comunità internazionale e della guerra al terrorismo. Alla fine del volume c’è anche una biografia degli autori, l’elenco delle riviste e una buona bibliografia. Il difetto è evidente, i curatori dell’antologia hanno tralasciato ogni riferimento all’idealismo dei neocon, all’entusiasmo per la democrazia, a quel significato salvifico della libertà che li accomuna e li contraddistingue. Analizzare soltanto le loro pretese egemoniche equivale a raccontare soltanto metà della storia. Così come è parziale un’analisi che non segua il filo che unisce la battaglia neocon dentro la sinistra americana negli anni Cinquanta, l’impegno contro il comunismo sovietico negli Ottanta e l’odierna guerra al terrorismo islamico, ovvero la battaglia contro l’ultimo totalitarismo del Novecento. Un percorso peraltro seguito da diversi opinionisti liberal, certo lontanissimi da Bush, come Thomas Friedman per esempio, citato nel libro come se fosse stato contrario all’intervento in Iraq. Il libro non dà conto di questo filone di sinistra, alleato dei neocon sul progetto di democratizzare il Medio Oriente come strumento di difesa degli interessi e della sicurezza americani. Il saggio scritto da Lobe e Oliveri è pieno di notizie, spunti e segnalazioni curiose. Questa, per esempio, probabilmente non piacerà ai clintoniani d’Italia: fu Bill Clinton a formulare la massima "dell’agire multilateralmente quando possiamo, unilateralmente quando dobbiamo".

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