Camillo di Christian RoccaProntuario per rispondere ad altre irritanti buone notizie provenienti dall'Iraq

Le chiacchiere non stanno a zero. Ora che è stato preso Saddam, invece che congratularsi con gli iracheni, i giornalisti e i politici di sinistra sospendono le analisi di geopolitica, sui sunniti e sugli sciiti, e affrontano la questione Iraq come se si trattasse del processo Sme: come e chi giudicherà il rais? Baghdad, Washington o l’Aia? E nessuno che alzi il dito e dica, ehi, scusate, fin dal momento della cattura è stato detto che sarà giudicato da un tribunale iracheno. C’è che quelli che non volevano liberare l’Iraq, e che ora ogni due minuti sostengono che gli iracheni devono autogovernarsi, non vogliono che i medesimi iracheni amministrino la giustizia. E chi diceva che non c’erano prove che Saddam minacciasse altri paesi e che l’invasione sarebbe stata un’interferenza, ora spiega che i suoi reati devono essere giudicati da un tribunale internazionale. L’altro mantra è che Saddam non contasse niente, non fosse più a capo di nulla. E se "nessuna notizia" solitamente significa "buona notizia", quando dall’Iraq ne arriva una buona c’è subito l’urgenza di trovare una giustificazione che mostri come, in realtà, la notizia buona sia cattiva. E’ necessario, così, riadattare il prontuario di cose da dire qualora arrivassero altre irritanti good news, scritto mercoledì da Janet Daley sul Daily Telegraph.
Se Saddam rifiutasse di cooperare, ribadire che l’arresto è uno show. Il rais non sa niente dello stato attuale della resistenza e non ha avuto nessun ruolo nel pianificare l’insorgenza. Questo processo è una vendetta. Ma Saddam, invece, potrebbe parlare. A quel punto la risposta dovrà essere la seguente: E’ stato chiaramente torturato. Oppure: Gli americani mentono, dicono che Saddam collabora ma non è vero. Giustificano la loro guerra illegale e il massacro di innocenti iracheni con la pretesa confessione del dittatore. (Fare la faccia incredula). Se Saddam facesse trovare le armi di distruzione di massa, l’obiezione sarà obbligata e bisognerà spostare l’attenzione sul fatto che in passato gli Stati Uniti, e Donald Rumsfeld in particolare, hanno avuto un ruolo nel consentire a Saddam di sviluppare quelle armi. (Non fare riferimento ai contributi europei). Se il rais, invece, confessasse di aver distrutto le armi si replichi così: Dice ciò che i suoi carcerieri vogliono sentirsi dire, al solo scopo di ottenere salva la vita. Se Saddam venisse giudicato dagli iracheni sarà una vendetta tribale, un linciaggio di stampo mafioso, consentito dai soliti americani che prima scatenano una guerra irresponsabile e poi se ne vanno, lavandosene le mani. Se, invece, ci fosse una supervisione americana, allora altro che democrazia in Medio Oriente, l’Iraq ha un governo fantoccio ed è un satellite neocoloniale dell’imperialismo americano. Se dal processo sortisse un Iraq libero e democratico, si dovrà dire che è irrilevante per la lotta al terrorismo. L’Iraq non aveva alcun collegamento con Al Qaida. Se Saddam confessasse un legame con Al Qaida si dovrà prontamente argomentare che il terrorismo non sarà mai sconfitto finché Bush non prenderà Osama. In ogni caso invocare, con D’Alema, una svolta.

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