New York. Tutti dicono che è fatta, che John F. Kerry, uno con le iniziali (JFK) come quelle del presidente Kennedy e una faccia perfetta per essere scolpita sul monte Rushmore, questa sera ripeterà il successo di martedì scorso in Iowa e si porterà a casa i voti dei delegati del New Hampshire, il piccolo e gelido Stato del Nord che confina a Nord con il Canada, e con essi la quasi certezza della nomination democratica per sfidare George Bush il 2 novembre. C’è un però, anzi più d’uno.
La settimana scorsa i sondaggi hanno fatto flop, e non è detto che questa volta abbiano aggiustato il tiro. William Kristol, direttore neoconservatore del Weekly Standard, uno dei pochi che aveva pronosticato la vittoria di Kerry, conferma la sua previsione ma invita a non sottovalutare Howard Dean, il dottore ed ex governatore del Vermont che fino all’Iowa aveva scaldato i cuori della sinistra americana.
Dean non è affatto finito, nonostante la débâcle di martedì scorso in Iowa e la furiosa reazione alla notizia. L’ultimissimo sondaggio Zogby di ieri mattina, infatti, lo dava a soli tre punti di distanza da Kerry. L’altra battaglia è per il terzo posto, al quale concorrono John Edwards, giovane senatore del Sud, Joe Lieberman, anziano senatore del Connecticut, e Wesley Clark, fresco iscritto ai democratici ed ex generale in Kosovo. Edwards cercherà di ripetere l’ottima performance dell’Iowa, dove è arrivato secondo, in attesa di martedì prossimo, data del "mini big Tuesday", quando si voterà in altri sette Stati e al Sud, dove è favorito. Edwards è la nuova star dei network, è piacione come Bill Clinton e ha il ciuffo come Bob Kennedy. Tutti notano come la gente che va ai suoi raduni torni a casa convinta. Ci sa fare, insomma. E ce la può fare. Edwards, che prima di fare il senatore faceva l’avvocato, può contare su un’arma segreta: il voto degli indipendenti. Il New Hampshire ha 690 mila iscritti nelle liste elettorali, 253 mila dei quali sono registrati come repubblicani e 176 mila come democratici. Il resto, 260 mila, cioè la maggioranza, sono indipendenti. La legge permette loro di presentarsi ugualmente alle primarie, rinunciando al proprio status di indipendenti solo per il tempo necessario al voto, e di influire così nel processo di selezione dei candidati per la Casa Bianca. Ecco perché qui capitano spesso sorprese. Il beneficiario potrebbe essere Edwards, il più centrista dei democratici, ma anche Joe Lieberman, il più affidabile sulla sicurezza nazionale. Chi davvero rischia è Wesley Clark, il generale di Little Rock, lo stesso paese di Bill Clinton. Clark ha saltato l’Iowa, come Lieberman, e ha puntato molto sulle primarie di oggi. I suoi fino alla settimana scorsa speravano in un secondo posto, ora temono di arrivare quarti, se non quinti. A quel punto sarebbe dura. Soltanto nel New Hampshire ha speso 927 mila dollari in spot pubblicitari, contro i 993 mila di Dean, il milione e rotti di Edwards, il milione e 285 mila dollari di Lieberman e gli oltre due milioni di Kerry. Il quale però non ha ancora messo piede, né speso un dollaro, nei sette Stati dove si vota martedì prossimo. Kerry punta sull’effetto domino di una doppia vittoria in Iowa e in New Hampshire, intanto gli è già riuscito un colpo mica male: ha preso con sé George Kundanis, l’alter ego di Dick Gephardt, il glorioso deputato del Missouri che dopo la sconfitta in Iowa aveva abbandonato la corsa per la Casa Bianca. Il Missouri, tra i sette in cui si vota la settimana prossima, è lo Stato con più delegati.
La battuta di Bush
Terry McAuliffe, il presidente del partito democratico e sostenitore di Kerry, spiega che nulla è ancora deciso, che il campionato è ancora lungo e che finché la matematica non li condanna tutti possono sperare. Anche qui c’è un però: chi, martedì prossimo, non avrà vinto in nessuno dei nove Stati in cui si sarà votato, Stati del Nord e del Sud, del midwest e dell’east coast, farebbe meglio a ritirarsi. Vincere in New Hampshire, dunque, è importante, ma non decisivo. Qui, quattro anni fa, George Bush perse con 18 punti di distacco da John McCain, mentre nel 1992 Bill Clinton fu sconfitto da Bill Bradley.
La partita oggi si sta concentrando sul fattore E, sulle chance di elegibilità dei vari candidati rispetto a Bush. Dean appare come troppo radicale (per ovviare, negli ultimi giorni ha fatto scendere in campo mammà), Edwards è inesperto, Lieberman troppo ebreo, Clark non ha la gravitas necessaria. Kerry, magari con Edwards a fargli da vice, appare come il candidato più serio, anche se è accusato di opportunismo, incoerenza e di cercare sempre la posizione più vantaggiosa per sé. Bush affila le armi e, secondo il Times, a un party lo avrebbe preso in giro: "Credo che la posizione di Kerry sull’Iraq sia politicamente geniale: ha votato per la guerra, ma ha aggiunto che ne è stato uno strenuo oppositore".