Camillo di Christian RoccaManuali per vincere la guerra al terrorismo (con le armi della democrazia e della nonviolenza)

Milano. Sono manuali per vincere la guerra al terrorismo, affrontare con risolutezza l’asse del male, sconfiggere le dittature e far trionfare la democrazia, i due libri appena pubblicati in America a firma dei neoconservatori Richard Perle e David Frum e dell’ex ambasciatore di Reagan nell’Ungheria comunista, Mark Palmer. Il libro di Perle e Frum (quest’ultimo è lo speech writer che coniò la frase "axis of hate", "asse dell’odio", che poi Bush trasformò in "asse del male") è uscito l’ultimo giorno dell’anno e si intitola "An End to Evil ­ What’s Next in the War on Terrorism" (Random House). E’ il manifesto delle sfide future della democrazia americana, oltre che una critica aspra nei confronti di chi, anche dentro l’Amministrazione Bush, non riesce a cogliere in pieno la portata della minaccia terroristica. Il punto, scrivono i due neocon, è la definizione di terrorismo. A parole siamo tutti contro il terrorismo, ma solo se con esso si intendono i kamikaze o i gruppi che mettono le bombe. Altra cosa, ed è qui il punto di contrasto, sono "i più ampi network che arruolano gli spostati e i delinquenti, quei ricchi donatori che pagano loro i conti, quegli stati che forniscono ai terroristi aiuto e ospitalità, così come quella più ampia cultura di incitamento e odio che giustifica e sostiene il terrore". Se non si affrontano anche costoro, se non si va dunque alla radice del problema, non si riuscirà mai a debellare "il grande male del nostro tempo". Contro questa impostazione, che però ebbe successo negli anni Ottanta contro il comunismo e le dittature sudamericane, ci sono i candidati presidenziali Democratici (con l’eccezione di Joe Liberman), gli uomini del Dipartimento di Stato che per mestiere sono favorevoli allo status quo, i diplomatici che privilegiano le relazioni amichevoli con i colleghi piuttosto che gli interessi nazionali, gli iper burocratici servizi segreti e i vertici militari restii a qualsiasi cambiamento. E’ questo il blocco conservatore interno che, secondo Perle e Frum, preferirebbe non occuparsi di chi finanzia il terrorismo, sperando che prima o poi i cattivi la smettano.

"La guerra contro questo male ­ scrivono i due intellettuali neocon ­ è la grande causa della nostra generazione. Gli americani non stanno combattendo questo male semplicemente per minimizzarlo o soltanto per contenerlo. Combattono per vincere definitivamente questo male, prima che esso uccida ancora e su scala genocida. Non ci sono vie di mezzo per gli americani: o è vittoria o è olocausto. Questo libro è un manuale per la vittoria". Concretamente Perle e Frum propongono l’esatto opposto dell’apertura diplomatica agli ayatollah iraniani prospettata da Colin Powell in questi giorni. Il loro è un ambizioso programma di difesa dell’America da chi la vuole distruggere non per quello che fa o che ha fatto, ma per quello che è e che rappresenta, cioè l’ideale libertario e lo spirito democratico. Il libro-manifesto spiega che sottomettersi all’autorità dell’Onu è un rischio per la sicurezza americana; che l’Arabia Saudita e la Francia non devono essere trattati da alleati ma da avversari nella guerra al terrorismo ("Presidente Bush dica la verità sui sauditi"; "Dovremmo indurre i governi europei a scegliere tra Parigi e Washington"); che contro l’Iran si deve agire subito, aiutando studenti e dissidenti a cacciare i mullah; che si deve cambiare il regime a Damasco; che c’è da preparare una strategia alternativa nel caso la trattativa con la Corea del Nord fallisca.

In fondo c’è da far fuori soltanto 43 persone
Il libro di Mark Palmer, "Breaking the Real Axis of Evil: How to Oust the World’s Last Dictators by 2025" (Rowman & Littlefield), è altrettanto interessante e chissà se, al pari del libro di Perle e Frum, uscirà mai in Italia, dove le case editrici pubblicano soltanto saggi antiamericani e barzellette su Bush. La tesi di Palmer è affascinante: la definizione bushiana di asse del male è troppo ristretta, dovrebbe essere più ampia. Non ci sono soltanto i dittatori mediorientali a torturare i loro popoli, terrorizzare i vicini, flirtare con i terroristi, attuare genocidi, provocare migrazioni, malattie e carestie. Ce ne sono altri, nei confronti dei quali non bisogna sacrificare i nostri ideali. In fondo ­ scrive Palmer ­ si tratta soltanto di 43 persone in tutto il mondo. Basterebbe far fuori questi 43 dittatori perché si avvii il pur complicato cammino verso la libertà e la democrazia. Palmer non suggerisce l’uso della forza in senso classico, cioè non invita Washington a fare la guerra con gli eserciti o con le azioni coperte (anche se non le esclude). Ci sono anche altre armi, quelle della nonviolenza, per esempio: "La vera forza da usare è il potere popolare. Ha funzionato sempre, in ogni continente e con ogni cultura". Palmer propone di creare fondi societari che finanzino i gruppi pro democracy, di fondare una Comunità delle democrazie e un nuovo Sottosegretariato per la democrazia, dentro il Dipartimento di Stato, con due uffici: uno respnsabile delle transizioni democratiche volontarie e un altro che si occupi dei dittatori recalcitranti. Palmer fissa anche un obiettivo temporale: democrazia nel mondo entro il 2025. Ce la si può fare, ma solo se l’America non si gira dall’altra parte.

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