Il neoconservatorismo è diventato l’argomento del giorno. Ma esiste davvero? E se esiste, che cos’è? Che cosa c’è esattamente di "nuovo" nel neoconservatorismo, e in che modo si differenzia da altre correnti del pensiero conservatore americano? Qual è l’influenza politica esercitata oggi dal neoconservatorismo? E’ a quest’ultima domanda che tutti vorrebbero dare una risposta. Eppure, non si può valutare l’influenza del neoconservatorismo sulla Casa Bianca di Bush se non si è prima raggiunta una corretta comprensione di ciò che è, e di come si distingue dal vecchio conservatorismo.
Fino a poco tempo fa, si pensava che la forza del neoconservatorismo si fosse esaurita. Pochi intellettuali si definivano ancora "neocon", e quest’etichetta non compariva quasi mai nei dibattiti politici o nei media. I due più autorevoli esponenti del neoconservatorismo avevano entrambi dichiarato che la definizione aveva perso il suo significato e la sua utilità. Nel suo libro "Neoconservatism: The Autobiography of an Idea", pubblicato nel 1995, Irving Kristol poneva questa domanda: "Dove sta oggi il neoconservatorismo?", e dava questa risposta: "E’ chiaro che ciò che si può a ragione definire l’impulso neoconservatore è stato un fenomeno generazionale, ora in gran parte riassorbito in un conservatorismo più ampio e di vasta portata". Un anno dopo, in un discorso all’American Enterprise Institute, Norman Podhoretz ha dichiarato con enfasi che "il neoconservatorismo è morto".
Nel corso dell’ultimo anno, tuttavia, e soprattutto nei mesi che hanno preceduto la guerra in Iraq, la definizione di neoconservatorismo è rientrata sulla scena delle nostre discussioni pubbliche e politiche. "Sono i neocon il cervello che opera dietro la decisione di rovesciare Saddam presa da Bush", ha scritto Jacob Heilbrunn sul Los Angeles Times, aggiungendo: "senza di loro non si parlerebbe così tanto di guerra". I neocon sono anzi diventati l’obiettivo preferito delle critiche della sinistra e della destra pacifiste. Sebbene John Judis e Patrick Buchanan possano avere ben poco in comune, e sebbene Christopher Mattews e Paul Craig Roberts non abbiano la stessa opinione quasi su nulla, tutti concordano sul fatto che la guerra in Iraq sia stata in qualche modo il frutto dell’ideologia neoconservatrice. E l’interesse suscitato dal neoconservatorismo non è affatto diminuito: "I Neocon in prima linea" titolava un recente articolo di Newsweek; "I Neocon assumono il controllo" era il titolo di un altro pubblicato sul New York Review of Books. L’aspirante presidente Howard Dean ha dichiarato in campagna elettorale che il presidente Bush "è stato preso prigioniero dai neoconservatori che gli stanno attorno".
All’inizio ho avuto la tentazione di considerare il ritorno del neoconservatorismo come un semplice spauracchio agitato dalla sinistra, o come una sorta di etichetta conveniente, usata dai giornalisti per sottolineare le evidenti spaccature all’interno dell’Amministrazione Bush. Entrambe le spiegazioni hanno un certo merito; tuttavia bisogna osservare che il neoconservatorismo non è mai del tutto scomparso, come viene spesso affermato. Il neoconservatorismo potrebbe rappresentare non un fenomeno generazionale ma soltanto una delle varie correnti fondamentali che animano il conservatorismo nel suo complesso. La definizione di neoconservatori è stata applicata a uno specifico gruppo di intellettuali che si sono spostati da una visione politica di tipo neo-liberal negli anni Sessanta e Settanta a quella poi nota con il nome di neoconservatorismo. Ma ora sembra che esso rappresenti, almeno in America, una naturale risposta del conservatorismo alla modernità; una risposta dotata di proprie qualità, formulata con un proprio stile, con tutte le sue forze e le sue debolezze.
Gli elementi fondamentali del neoconservatorismo appaiono nel modo più chiaro se confrontati con quelli dei suoi due principali rivali all’interno del mondo conservatore: il liberismo e il tradizionalismo (non mi dilungherò sui conservatori religiosi e sugli straussiani, dato che sono spesso alleati con i neocon e hanno contribuito alla formazione del neoconservatorismo). Queste tre tradizioni conservatrici (tradizionalismo, liberismo, neoconservatorismo) hanno radici storiche e filosofiche ben distinte. Esprimendoci in termini generali, i tradizionalisti hanno il proprio modello in Edmund Burke, i liberisti in Friedrich Hayek e i neocon in Alexis de Tocqueville. Tuttavia, ognuna di esse ha origine anche in qualcosa di più profondo ed elementare. Nessuno di noi può sottrarsi al proprio personale giudizio sulla moderna vita americana: sulle sue possibilità e sui suoi limiti, se sia rispettosa della dignità umana oppure alienante e corrotta. Chi disprezza una buona parte della nostra vita moderna, aggrappandosi agli antichi costumi ereditati dal passato, propende per il tradizionalismo. Altri, che festeggiano le nuove libertà e le nuove tecnologie, scelgono il liberismo. E chi vede nella modernità ideali e principi ammirevoli, ma anche tendenze preoccupanti, opta per il neoconservatorismo.
I Tradizionalisti
Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, alcuni straordinari pensatori cercarono di adattare alla vita pubblica americana il conservatorismo tradizionalista à la Burke. Vennero presto definiti i "nuovi conservatori". Il più autorevole era Russel Kirk, autore, nel 1953, del best-seller "The Conservative Mind". Un modo senza dubbio troppo semplicistico, ma per i nostri scopi comunque sufficiente, di caratterizzare l’opera di Kirk sarebbe quello di dire che ha avviato una svolta tra i conservatori americani, allontanandoli da una filosofia borghese ispirata a Locke e avvicinandoli ad una moderatamente aristocratica ispirata a Burke. Nel periodo precedente la Seconda guerra mondiale un tipico "conservatore" americano era infatti un liberal del XIX secolo: un fedele sostenitore del laissez-faire, dello sviluppo scientifico e, più in generale, del progresso. La rinascita di Burke che Kirk ha contribuito a rilanciare negli anni cinquanta ha fornito al conservatorismo americano una voce molto diversa. Non sarebbe stato più disposto ad accettare di essere il partito del "big business" o un difensore della società borghese. I tradizionalisti si unirono a Burke nel suo lamento che "l’èra della cavalleria è finita" e nella sua denuncia del "nuovo dominante impero dei lumi e della ragione".
Per i "nuovi conservatori" il problema era rappresentato innanzitutto dalla moderna rapacità degli uomini, come dimostra questo brano tratto dall’opera classica di Kirk: "Lo spettacolo moderno di foreste scomparse e terre desertificate, di petrolio sprecato inutilmente, di debiti nazionali lasciati ad accumulare senza alcuna preoccupazione fino a livelli incontrollabili, di continue revisioni del diritto positivo, è una prova evidente dei danni che un’èra priva di qualsiasi venerazione causa a se stessa e a quelle future". Nella romantica descrizione che Kirk fa della cittadina di Beaconsfield, dove fu sepolto Burke, la difficoltà del tradizionalismo ad adattarsi alla moderna società di massa appare con grande evidenza: "Ben poco è cambiato qui: le solide case vecchie di quattro secoli, la piccola e pulita locanda, le grandi querce e le tranquille vie sono ancora le stesse dei tempi di Burke, anche se le villette e i nuovi sobborghi urbani di Londra affondano già i propri denti in Buckinghamshire e le piccole industrie stiano invadendo le città della zona. A Stoke Poges, a sole poche miglia di distanza, un enorme e orribile complesso edilizio di oppressiva monotonia si appoggia direttamente al muro del camposanto della chiesa principale. Ma la Città Vecchia di Beaconsfield è soltanto un’isola dell’antica Inghilterra nel mare industriale e proletario dell’umanità".
Il progetto di Kirk non si indirizzava alla politica pubblica, ma era uno sforzo di definizione filosofica e di rinascita culturale. Prendendo Burke a suo modello, Kirk voleva spiegare al pubblico americano che cosa significava essere un conservatore e pensare in modo conservatore. Nel libro "The Conservative Mind" analizzò un’ampia serie di pensatori conservatori, da John Adams a Tocqueville e da Disraeli a Henry Adams. Era passato molto tempo da quando si insegnava ancora agli americani di studiare con serietà questi pensatori, e i numerosi scritti di Kirk hanno trasformato il panorama del conservatorismo americano. Nei suoi primi anni di attività, la rivista National Review è stata profondamente influenzata da modelli di pensiero tradizionalista, e per un certo periodo lo stesso Kirk vi collaborò. Il motto della rivista, scritto da William F. Buckley nel 1955, era una chiamata alle armi di ispirazione neo-burkeana, in cui si dichiarava che National Review "si alza in piedi di fronte alla storia, e grida: stop".
Il desiderio di fermarsi, riflettere, riconsiderare e magari tornare indietro resta vivo all’interno dei circoli conservatori. Lo si può osservare nella difesa della famiglia tradizionale, nel rispetto delle antiche virtù e della sensibilità religiosa. Sul terreno pratico, appare evidente nell’idea tradizionalista che il governo federale abbia usurpato le prerogative delle comunità locali. Questi conservatori guardano con nostalgia ad un’America di piccole città e comunità strettamente legate, e diventano sempre più critici nei confronti di ciò che considerano il "conservatorismo del big government" sponsorizzato dal Presidente Bush.
I Paleoconservatori
Questo è il momento adatto per fare una breve digressione e dire qualche parola sui paleoconservatori, come sono stati definiti. Comunemente considerati gli eredi di Kirk e dei tradizionalisti, i paleoconservatori in realtà non sono d’accordo con quelli che Kirk definisce gli autentici principi conservatori. Non sono conservatori, quanto piuttosto reazionari o pseudo-radicali. Si può affermare con sicurezza che i paleocon disprezzano gran parte del moderno stile di vita americano e desidererebbero di superare in qualche modo gli attuali schemi del dibattito politico americano.
I paleoconservatori sono rimasti praticamente sconosciuti al pubblico fino agli anni Novanta, quando Patrick Buchanan si è fatto campione di molte loro idee nel suo tentativo di dare nuova forma al partito repubblicano. L’obiettivo di Buchanan non era quello di restaurare un più antico ideale conservatore, bensì di avviare una riforma della destra. Nel 2000, ha mostrato chiaramente le sue intenzioni radicali uscendo dal partito repubblicano e presentandosi come candidato della Riforma. "Con questa campagna elettorale", ha dichiarato, "intendo ridefinire il significato della parola conservatore". Il conservatorismo à la Buchanan è, nel settore della politica economica, contro la liberalizzazione del commercio e contro la globalizzazione; in quello della politica sociale, contro l’immigrazione e per la protezione del diritto alla vita; in quello della politica estera, isolazionista. Tuttavia, nonostante le sue rigide posizioni sul diritto alla vita e i suoi frequenti richiami religiosi, Buchanan è stato rifiutato tanto dalla leadership quanto dalla base del conservatorismo religioso. Può anche avere dichiarato una "guerra religiosa" per il cuore e l’anima della nazione, ma i conservatori religiosi non lo hanno appoggiato. Nelle primarie repubblicane si sono schierati con il presidente Bush nel 1992 e con il senatore Robert Dole nel 1996, benché fosse ben noto che nessuno dei due appoggiava particolarmente l’agenda politica della destra religiosa. I mezzi di informazione in larga misura non si accorsero dell’importanza di queste alleanze, che danneggiarono notevolmente le prospettive elettorali di Buchanan. Il programma politico dei paleocon, a quanto sembra, è più idealista e donchisciottesco di quanto sembri a prima vista, e la destra religiosa è più borghese di quanto si creda comunemente.
Lo stesso termine di paleoconservatori è fuorviante. A differenza dei tradizionalisti, i paleocon sostengono che siamo ormai irrevocabilmente tagliati fuori da una tradizione viva e sostenibile. A loro giudizio, i veleni della modernità hanno corroso gli antichi usi e costumi, e il progetto di conservazione elaborato dal conservatorismo non è altro che una scintillante illusione. Sono quindi partiti alla ricerca di nuovi dèi. Thomas Fleming, direttore della rivista paleocon Chronicles: A Magazine of American Culture, si è rivolto alla sociobiologia, alla teoria evolutiva e all’antropologia, modelli niente affatto tradizionali tra i conservatori. Paul Gottfried, altro autorevole teorico paleocon, ha cercato una soluzione nella filosofia di Carl Schmitt e in altre ideologie storiciste. Samuel Francis, editorialista politico di Chronicles, ha invocato una "opposizione radicale al regime". Nel frattempo, Gottfried, nel suo libro "The Search for Historical Meaning", ha parlato con simpatia di un ritorno agli "eroi spirituali che elevano la civiltà illuminando con la loro luce il terreno dell’essere". In un altro suo libro, "The Conservative Movement", Gottfried ha riassunto così la posizione dei paleocon: "Sollevano questioni che sia i neoconservatori sia la sinistra vorrebbero lasciare chiuse nell’armadio, come, ad esempio, quelle sull’opportunità dell’uguaglianza sociale e politica, sull’utilità della riflessione sui diritti umani e sulla base genetica dell’intelligenza. In tutti questi assalti ai sentimenti di pietà liberal e neoconservatori, i paleocon rivelano una passione iconoclasta che non ha quasi mai caratterizzato gli intellettuali della destra post-bellica. Il loro animo è ispirato più da Nietzsche che dal neo-tomismo; e, come Nietzsche, vanno in cerca di idoli democratici, guidati dal disprezzo nei confronti di tutto ciò che considerano indegno della vita umana".
I Liberisti
A differenza dei paleoconservatori e dei tradizionalisti, i liberisti si trovano perfettamente a loro agio nel mondo di oggi. Si fondano su John Locke, Adam Smith, John Stuart Mill, e pensatori sociali del XX secolo come Friedrich Hayek. Lo spirito dei liberisti non è né rivolto al passato né a un utopico futuro. E’ progressista, e aspira ad un’estensione sempre maggiore della libertà economica e della scelta individuale. I liberisti si oppongono praticamente a ogni forma di regolamentazione, nel settore del mercato come nel campo della morale.
Si può discutere sul fatto se il liberismo sia davvero una variante del pensiero conservatore. Hayek ha scritto un saggio per spiegare perché non era un conservatore, e Milton Friedman ha sempre ribadito di essere un liberal del XIX secolo, e non un conservatore. Ma ormai non ha più senso abbandonarsi a giochetti semantici e a polemiche su etichette e definizioni. Dagli anni Cinquanta ad oggi, il liberismo ha costituito una importante e influente (se non la più influente) corrente di pensiero della destra, che ha profondamente inciso sulla formazione della politica repubblicana e dell’ideologia conservatrice nel suo complesso.
L’influenza del liberismo è evidente in modo particolare nell’opposizione conservatrice al Big Government. E qui l’importanza degli scritti di Hayek, soprattutto del suo bestseller del 1944 "The Road to Serfdom", è decisiva. Il libro fu scritto per rispondere all’ascesa dei totalitarismi nazista e sovietico, ma anche alla crescente popolarità della pianificazione economica e del pensiero socialista, che caratterizzava in quegli anni tutta l’Europa. Hayek suonava l’allarme: "Abbiamo gradualmente rinunciato a quella libertà negli affari economici senza la quale non è mai esistita, nel passato, la libertà personale e politica". Il suo obiettivo principale era il socialismo, ma le sue argomentazioni avevano portata più ampia. Nelle prefazioni scritte per questo libro nel 1956 e nel 1976, Hayek ha sostenuto che anche i Welfare States degli Usa e dell’Europa occidentale, in continua espansione, avrebbero necessariamente portato al tramonto della libertà. Lo stesso concetto di "benessere generale" era sospetto ad Hayek, e in "The Road to Serfdom" lo ha denunciato come una nuvola di fumo dietro alla quale marcia il totalitarismo.
Anche i tradizionalisti considerano con molto scetticismo il moderno Welfare State. Ma è la forma meno romantica, più analitica e politicamente orientata della critica liberista che oggi domina nei think tank di Washington, come quelli del Cato Institute, dell’American Enterprise Institute e della Heritage Foundation. Predomina la loro preoccupazione per l’efficienza economica e la libertà individuale, e non il desiderio dei tradizionalisti di preservare lo spirito morale della vita di una cittadina. Nel 1994, Newt Gingrich è stato eletto Presidente della Camera dei Deputati grazie soprattutto alla sua campagna liberista per tenere sotto controllo l’autorità regolamentativa del governo e le sue spese. E’ stato il più grande trionfo politico del liberismo. Il preambolo del "Contratto con l’America" impegnava il partito repubblicano a porre "fine ad un governo che è troppo esteso, troppo intrusivo e troppo generoso con il denaro pubblico". Nel suo discorso inaugurale come presidente della Camera, Gingrich ha consigliato agli altri membri del Congresso di "imparare dal settore privato: dalla Ford, dalla Ibm, dalla Microsoft". Qui possiamo rintracciare una causa della storia d’amore tra i tradizionalisti e le nuove tecnologie: vorrebbero modernizzare il governo per mezzo della tecnologia informatica e promuovere la ricerca della felicità umana per mezzo della biotecnologia. (1. continua)
Adam Wolfson
© The Public Interest – Il Foglio
(traduzione di Aldo Piccato)