La
prima pagina del quotidiano di Largo Fochetti, cioè La
Repubblica (Rep.), ieri 6 gennaio si apriva con "Europa,
ancora pacchi-bomba", ma poteva aprirsi anche con "Europa,
ancora antisemitismo". Eppure la notizia delle accuse alla
Commissione di Prodi è finita nelle pagine interne. Provate
a immaginare che cosa avrebbe scritto Rep. se il Congresso ebraico
mondiale avesse detto una parolina sul Cav. Il numero di ieri,
però, va lodato. Capita anche ai republicones un pensiero
e un’opinione controcorrente. Gino Castaldo, al contrario dell’inesperto
Francesco Merlo, ha fatto un elogio del San Remo di Tony Renis.
Castaldo, che di musica sa, è entusiasta: "La ripulitura
è così violenta da lasciare interdetti"; "un
cast che sembra poco definire un contropiede bruciante";
"una mossa destabilizzante che ucciderà per sempre
il festival o lo riporterà alle sue gloriose origini";
"mai avremmo immaginato"; "ci sono dei piccoli
idoli del momento"; "è un cast clamorosamente
spiazzante"; "Renis ha spiazzato tutti"; "ha
detto no agli eterni abbonati al festival"; "ha detto
no ai raccomandati, ha puntato tutto sui giovani e soprattutto
sugli stili musicali che circolano tra i giovani".
Complimenti anche a Sebastiano Messina, il quale nella sua rubrica
televisiva ha stroncato senza attenuanti il meglio censurando,
Enrico Deaglio. Il giornalista anti regime che per le tv di regime
ha confezionato un programma sul regime che il regime gli ha
trasmesso, ha annunciato che le prossime puntate della sua trasmissione
antiregime in onda sulle tv di regime avranno come argomento,
pensate un po’, il regime e come ospiti figure antiregime come
Carlo De Benedetti e Furio Colombo. A Messina la trasmissione
è sembrata, per usare un linguaggio in voga in ambienti
anti regime, una fetecchia: "Da un giornalista colto e intelligente
come lui, tutti si aspettavano qualcosa di sorprendente, qualcosa
di originale". E invece? "Non è andata così".
Certo c’è anche Guido Rampoldi (Ramp!) a riequilibrare.
La sua tesi sul regime di Saddam è la seguente: "Al
contrario di quanto si pensi in Occidente, la maggioranza che
scelse la passività non fu toccata dalla polizia segreta".
No-no, no-no. Secondo l’analista, gli iracheni vennero a patti
col regime "per viltà, convinzioni o quieto vivere".
Colpa loro, insomma. "Oggi larghi settori di quella zona
grigia non associano il regime alle camere di tortura, semmai
a un tempo in cui le strade erano sicure, i black out rari e
i generi alimentari molto più economici". Se solo
andasse più nel dettaglio, Ramp! scoprirebbe che nel trentennio
saddamita i treni arrivavano in orario, si dormiva con le porte
aperte e fu bonificato l’agropontino.
(continua)
7 Gennaio 2004